La pistola generalmente colorata di rosso utilizza due dardi e un cavo elettrico attraversato da corrente ad alto voltaggio e bassissima potenza. Questo non vuol dire che non sia in grado di provocare gravi danni al bersaglio provocandone anche la morte, in determinate circostanze. Sono ancora pochi gli studi sul corretto uso dell’arma e si rendono necessari corsi di formazione e la dotazione di defibrillatori per le forze dell’Ordine.
Roma – Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza, dal mese di marzo, hanno aggiunto il Taser alla loro dotazione d’ordinanza. L’arma, dall’aspetto simile a una pistola e dai colori vivaci per essere facilmente visibile, promette bene ma non tutti la pensano alla stessa maniera. Premendo il grilletto è in grado di lanciare, in rapida successione, due piccoli dardi collegati da un cavo attraverso il quale scorrono impulsi elettrici rapidissimi da circa 50mila volt. Una volta colpito il bersaglio, azione già di per sé difficile, l’azione della corrente provoca l’immobilizzazione dell’individuo per circa 5 secondi contraendogli la muscolatura.
Il primo dubbio circa la sicurezza di questo dispositivo riguarda i rischi per la salute e a sollevare la spinosa questione è niente meno che Circulation, autorevole rivista statunitense di cardiologia. Dal 2001 i casi di morte possibilmente correlata all’uso del Taser sono circa 1000, dei quali 150 fortemente sospetti.
Oltre alla legittima preoccupazione per le conseguenze a carico di portatori di pacemaker, vengono evidenziate possibili correlazioni tra la scarica elettrica della pistola con l’occorrenza di tachicardie o fibrillazioni ventricolari. Incerti i rischi anche qualora il soggetto sia sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o alcool, oppure sotto pesante sforzo, cosa molto probabile in seguito a colluttazioni o inseguimenti.
L’altro rischio, di natura morale, è l’incremento dei casi di abuso di autorità da parte delle forze dell’ordine dotate di Taser. Anche in questo caso la denuncia proviene da fonti accreditate. Amnesty International e Onu hanno denunciato come l’arma si presti a un uso improprio, specie in condizioni di stress, arrivando a paragonarla in alcuni casi a uno strumento di tortura vero e proprio.
Un caso che ha tristemente fatto storia è quello di Robert Dziekanski, cittadino polacco morto nel 2007 dopo il viaggio in aereo con destinazione Vancouver, dove avrebbe dovuto riabbracciare la madre. Dopo 10 ore di attesa in aeroporto, per il disbrigo delle pratiche di dogana, l’uomo, abbandonato a sé stesso ed estremamente frustrato, dava in escandescenza. I tentativi di calmarlo messi in atto dalle forze dell’ordine si rivelavano inutili poiché il poveretto non parlava inglese. La situazione degenerava e Dziekanski, colpito dal Taser, spirava di lì a poco sotto gli occhi attoniti dei soccorritori.
Affinché non si ripetano tragedie del genere, le associazioni a tutela dei diritti dell’uomo propongono una soluzione condivisibile esposta in tre i punti fondamentali: il finanziamento di studi imparziali che analizzino i rischi concreti sulla salute anche in casi limite, come nel caso di cardiopatici o persone alterate da sostanze; la presenza, sui mezzi delle forze dell’ordine, di defibrillatori per poter intervenire tempestivamente in caso di necessità e un percorso di formazione specifica e approfondita per gli operatori che useranno l’arma “non-letale”.