Zaia: “Archivio giudiziario riferimento morale più importante di questa sciagura”. Fontana: “Più responsabili su gestione risorse naturali”.
Longarone – Quella del Vajont rappresenta una tragedia unica per dimensioni e cause: l’intervento umano. La diga e il gigantesco invaso artificiale alterarono i delicati equilibri geologici di una vallata fragile, cancellando in pochi secondi l’esistenza di duemila persone. Era il 9 ottobre 1963 e una gigantesca frana dal volume di oltre 250 milioni di metri cubi si staccò dal Monte Toc, precipitando nel sottostante invaso artificiale: il lago del Vajont. L’imponente onda di roccia e detriti riempì il bacino, sbalzando decine di milioni di tonnellate di acqua oltre la diga che lo sbarrava. Dopo una caduta di 300 metri, la furia liquida investì Longarone, portandosi via un intero paese. La politica ricorda quella tragedia a 61 anni di distanza. A partire dal governatore veneto Luca Zaia.
“Anche quest’anno, il 9 ottobre, la nostra mente torna al lontano 1963, per non dimenticare le quasi 2000 vittime innocenti, tra cui 487 bambini, di quella che è passata alla storia come la tragedia del Vajont. Una data che non si risolve in un ricordo routinario, poiché il dolore è ancora vivo in tante persone, in tante famiglie: è una ferita ancora aperta per la nostra Terra”. Zaia torna a 61 anni fa, quando l’immane catastrofe cancellò Longarone, in provincia di Belluno, e portò devastazione e morte. L’eco di quel tragico evento risuona ancora oggi, richiamando l’attenzione su una delle pagine più oscure della nostra storia. “Longarone è risorta ed è oggi un centro produttivo tra i più vivaci della nostra Regione”, ha affermato il governatore sottolineando la resilienza degli abitanti sopravvissuti, che, nonostante l’immane dolore, hanno dimostrato le migliori qualità dei veneti.
“Hanno lavorato con tenacia, dimostrando che il lavoro è il fondamento della nostra vita collettiva e la forza per ogni riscatto della persona e della comunità. Una testimonianza di determinazione e coraggio, che nonostante le ferite, i lutti mai rimarginati e la continua difficoltà a ottenere giustizia, ha permesso alla comunità di rialzarsi e ricostruire. Il percorso verso la giustizia, tuttavia, rimane lungo e complesso. Come ha evidenziato Zaia, l’archivio processuale istituito dal Governo per rimanere nella terra dove si è verificato tanto orrore è un “atto di rispetto per le aspettative dei sopravvissuti e per il territorio stesso. Sebbene non possa lenire il dolore della memoria, questa decisione è un riconoscimento del valore della verità e della giustizia. Dopo il Cimitero monumentale di Fortogna, l’archivio giudiziario è il riferimento morale più importante di questa sciagura”, ha concluso.
Infatti ad agosto scorso è stato deciso che i 5205 documenti processuali relativi alla tragedia del Vajont resteranno per sempre custoditi a Belluno, nell’Archivio di Stato. Il materiale riguarda l’iter processuale a carico dei molti indagati coinvolti nell’inchiesta per il disastro del 9 ottobre 1963. Il procedimento si svolse tra il novembre del 1968 e l’ottobre del 1970 a L’Aquila, città che ne custodì il materiale e nella quale era in atto un’opera di inventariazione e digitalizzazione interrotta per le conseguenze del terremoto del 6 aprile 2009. La documentazione, raccolta in 257 buste prodotte sia dal Tribunale di Belluno sia da Tribunale e Corte di Appello dell’Aquila, fu allora trasferita a titolo provvisorio all’Archivio di Stato di Belluno per la prosecuzione delle operazioni. Vista la conclusione delle stesse, la Direzione generale Archivi ha ritenuto di dover affidare in via definitiva al capoluogo montano veneto il fascicolo processuale cartaceo, ormai fruibile da remoto.
Il presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, oltre a ricordare le vittime, mostra la sua gratitudine al “lavoro dei soccorritori, che si sono adoperati con coraggio e sacrificio nelle ore e nei giorni successivi al disastro, e la grande solidarietà internazionale. In questi decenni – sottolinea – i territori colpiti, come Longarone, hanno compiuto straordinari sforzi di rinascita, con coraggio e capacità di guardare avanti, senza dimenticare quel dramma. La tragedia del Vajont richiama l’importanza di un approccio responsabile alla gestione delle risorse naturali, la necessità dell’ascolto dei territori e della cura della sicurezza delle nostre comunità”. E il presidente del Senato Ignazio La Russa, esprime vicinanza ai “familiari delle 1910 vittime e a tutta la comunità nella consapevolezza che il loro dolore – che è anche il nostro – rimarrà per sempre un monito affinché tali catastrofi non accadano mai più”.
“Ogni nove ottobre, ogni volta che vado a sciare, ogni volta che penso alla follia dell’uomo mi viene in mente la strage del Vajont”, interviene il leader di Iv Matteo Renzi nella sua enews. “Quando partii per il giro in camper delle primarie 2012 il Vajont fu la prima tappa dopo Verona: per dire e ribadire che l’Italia ha bisogno di progettare la sicurezza del territorio in modo diverso rispetto al passato. Ancora oggi – fa notare Renzi – si muore per la cattiva gestione del territorio, anche se naturalmente le dimensioni di quella tragedia furono così enormi da non essere paragonabili con nulla di quello che è successo dopo. Ma il principio di proteggere di più e meglio il nostro territorio e fare infrastrutture intelligenti è sempre una priorità del nostro Paese. Priorità purtroppo spesso sottovalutata”.
Anche Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale del Veneto, a Bruxelles per la Settimana europea delle Regioni, ha voluto commemorare “i 1.910 morti assassinati, anche se il numero non è purtroppo esatto, dall’immensa onda scatenata non dalla frana del monte Toc, ma dall’insipienza degli uomini, dall’egoismo, dal porre il proprio interesse e la ricerca del profitto al di sopra del bene comune e del diritto alla vita”. In Veneto, afferma, “il ricordo di quei momenti è vivo e devo ringraziare le comunità di Longarone e di Erto e Casso investite da quella tragedia per essere riuscite a perpetuare il ricordo con spazi della memoria, musei ma anche con percorsi guidati nei luoghi del disastro affinché chi non visse quelle ore possa capire la portata degli eventi, domandandosi infine perché in quell’angolo tra Veneto e Friuli, sinonimo di dolore insanabile, alle 22.39 del 9 ottobre 1963 anche la giustizia finì travolta”.
La posta in gioco? Guadagno e potere. Come disse Tina Merlin, se la tragedia del Vajont avesse un marchio, sarebbe sicuramente quello del potere. E ora che i 5205 documenti processuali relativi alla tragedia del Vajont resteranno per sempre custoditi a Belluno, il sindaco di Longarone e presidente della Provincia di Belluno, Roberto Padrin, parla di “un ottimo modo di coltivare la memoria”: data la conclusione del processo di digitalizzazione, durato 17 anni, la documentazione sarà in rete e a disposizione di tutti.