Un team di studiosi dell’Università Ca’ Foscari ha rivelato sul sito dell’antico monastero dei Santi Ilario e Benedetto di Mira una chiesa più antica della basilica già indagata nell’Ottocento.
VENEZIA – Importanti novità dallo scavo in corso nell’area un tempo occupata dal monastero dei Santi Ilario e Benedetto a Dogaletto di Mira (Venezia), fondato nell’819 dai monaci di San Servolo. Le indagini hanno riportato alla luce una chiesa altomedievale a tre navate e un frammento di stele funeraria di età romana che raffigura una donna con il capo velato: scoperte di grande rilevanza, quelle emerse nelle scorse settimane, che possono contribuire a fornire nuovi particolari sulla storia più antica di Venezia, le cui origini sono in parte ancora avvolte dalla leggenda.
Le indagini al momento in corso sul monastero, ai margini occidentali della laguna tra le attuali Malcontenta e Gambarare (località Dogaletto) nel territorio comunale di Mira, sono condotte dall’Università Ca’ Foscari Venezia (Dipartimento di Studi Umanistici – Insegnamento di Archeologia Medievale) su concessione del Ministero della Cultura e in collaborazione con il Comune di Mira e la Fondazione Università Ca’ Foscari. Si tratta di una campagna di grande importanza perché la storia del monastero benedettino dei Santi Ilario e Benedetto è considerata fondamentale per la ricostruzione delle dinamiche di insediamento in zona tra VIII e XIII secolo.
L’abbazia fu infatti fondata grazie a una concessione del doge Angelo Partecipazio e di suo figlio Giustiniano in una zona strategica, posta tra la terraferma e la Laguna e lungo le importanti vie d’acqua che collegavano l’entroterra al ducato della Venetia Maritima, nato a seguito dell’occupazione longobarda, avvenuta nella seconda metà del VI secolo, di buona parte dell’attuale Veneto. L’insediamento costiero si rafforzò con la progressiva migrazione delle popolazioni romane, che qui trovarono riparo protetti dalle lagune e dalla presenza della flotta imperiale bizantina.
Dell’antico monastero dei Santi Ilario e Benedetto oggi non resta più nulla di visibile: dopo la guerra di Chioggia, combattuta da Venezia e Genova nel 1379, il complesso decadde e fu invaso dalle acque, quindi venne abbandonato progressivamente nel corso del XV secolo quando i monaci si trasferirono in San Giorgio a Venezia. I primi scavi, condotti nell’Ottocento, portarono al ritrovamento di una basilica a tre navate di epoca medievale, frammenti di mosaici pavimentali e una serie di sarcofagi e lapidi tombali, materiali poi trasferiti nella raccolta del Museo Correr a Venezia (oggi sono visibili nel cortile del Museo Archeologico).
Le indagini sono riprese nel 2007 riportando alla luce vetri, ceramiche, frammenti di decorazione architettonica in marmo, recipienti in pietra ollare, oggetti in metallo, tessere musive e ossa, reperti databili in buona parte tra il VII e il X secolo.
Dopo una decina d’anni di stop, finalmente i nuovi interventi programmati a partire dal 2020 grazie a un finanziamento del Comune hanno rivelato, grazie all’indagine geofisica programmata in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna, la presenza di strutture archeologiche ancora sepolte nell’area dove si ipotizza sia stato fondato il monastero. A rivelarne la tipologia è stato lo scavo di quest’anno, che ha riportato alla luce alcuni pilastri della basilica triabsidata scoperta nell’Ottocento, di cui rimanevano solo tracce intangibili e una bella fotografia d’epoca.
La vera novità è stata però, come accennato, la scoperta di un’altra chiesa più antica, anch’essa a tre navate ma di dimensioni più piccole, di cui si conservano le fondazioni massicce realizzate con grandi blocchi di pietra, e soprattutto un frammento di stele funeraria di età romana raffigurante una donna con il capo velato, riutilizzato come materiale da costruzione per la creazione delle stesse strutture di fondazione.
“Scavare nell’area del monastero di Sant’Ilario – spiega Sauro Gelichi, docente di Archeologia medievale all’Ateneo di Ca’ Foscari e direttore degli scavi ai quali partecipa un team di archeologi capeggiati da Alessandro Alessio Rucco in collaborazione con la geologa Sandra Primon – significa toccare con mano uno dei punti cardine della Venezia delle origini. Le finalità della nostra ricerca non sono solo quelle di ridare vita a quelle ‘pietre’ ma anche di contestualizzarle meglio nello spazio topografico e funzionale originario. Prima di queste nuove indagini si era incerti che qualcosa del monastero delle origini fosse ancora conservato al sotto delle piantagioni di granturco che ricoprono l’area: ma già dai primi giorni le nostre aspettative sono state ripagate. Siamo certi che alla fine di queste nuove ricerche si potrà raccontare molto di più e meglio di quanto fino ad oggi sapevamo su questo contesto storico-archeologico e dunque restituire ai cittadini di questo territorio un’importante fetta del loro passato”.
Che gli scavi siano “un passo fondamentale non solo per la conoscenza, ma anche per la tutela del patrimonio sepolto in questo lembo lagunare” è convinta anche Cecilia Rossi della SABAP per il Comune di Venezia e Laguna, che insiste: “Per proteggere degnamente il nostro patrimonio archeologico bisogna innanzi tutto conoscerlo in tutte le sue criticità e le indagini dirette sul campo rappresentano da questo punto di vista uno dei migliori strumenti di conoscenza”.
Entusiasta dei risultati anche il sindaco Marco Dori: “Per Mira – commenta – si tratta di una ricerca di assoluto valore. Sant’Ilario è un’area che consideriamo strategica e siamo molto contenti di aver ripreso la collaborazione con Ca’ Foscari, dal punto di vista storico, perché ci lega a Venezia e alle sue origini, ma anche per le nostre radici. Riscoprire questi luoghi è anche un potenziale strumento di sviluppo per il futuro”. In programma, anticipa il primo cittadino di Mira, c’è anche la volontà di creare un parco archeologico da collegare con la laguna e con la vicina Villa Foscari, villa palladiana patrimonio Unesco. “Lo faremo – aggiunge – anche grazie a un percorso ciclabile che verrà realizzato nei prossimi anni e che porterà nuovi visitatori e viaggiatori interessati alla storia, all’arte alla natura. Per parte nostra faremo il possibile, insieme a Ca’ Foscari, anche per far tornare a Mira gli antichi reperti di Sant’Ilario“, attualmente conservati nel Museo Archeologico di Venezia.
Ma non è tutto. Il progetto di ricerca prevede anche lo studio e l’elaborazione di strategie per un’ulteriore valorizzazione del sito, curate in collaborazione con il Venice Centre for Digital and Public Humanities e con il nascente Venice Actions for NeuroHumanities Hub, in partnership con Fondazione Ca’ Foscari e con la coordinazione scientifica di Elisa Corrò. Durante i lavori allo scavo sono stati utilizzati caschetti sensoriali, eye tracker e questionari: sperimentazioni che, condotte su diversi gruppi di persone, aiuteranno gli studiosi a valutare in profondità il rapporto tra contemporaneità e antico. “Vogliamo restituire alla comunità – spiega Corrò – una parte tangibile della propria storia e del proprio patrimonio culturale. Mediante l’innovazione tecnologica e l’approccio neuroumanistico vogliamo tenere viva la memoria del monastero dei Santi Ilario e Benedetto, e soprattutto capire come farlo grazie al supporto della comunità”.
I risultati dello scavo in corso verranno condivisi con la cittadinanza per contribuire alla diffusione della conoscenza della storia del luogo e per valorizzare il patrimonio storico e culturale del territorio. In programma ci sono diverse visite guidate sullo scavo: la prossima, domenica 8 ottobre dalle 15 alle 18. Ulteriori informazioni sono reperibili sui social network di Ca’ Foscari o scrivendo a elisa.corro@unive.it.