E’ come un farmaco che ci allevia i dolori della vita quotidiana e, in più, ci fa assumere la consapevolezza del mondo che ci circonda. Dunque Travel Terapy per tutti. Specie per coloro che hanno difficoltà nel mettere il naso fuori di casa.
Roma – Il viaggio come terapia. Nella tradizione popolare, spesso, il viaggio viene considerato come una metafora della vita. Non è solo una spostamento del corpo ma, anche, dello spirito. Una volta partiti non è possibile tornare alla situazione antecedente, come se nulla fosse accaduto. Non si è più come prima. Il solo spostarsi muta la prospettiva, il punto di vista. Il viaggio dunque assume la consapevolezza di un’esperienza interiore per l’individuo. Richiama, infatti, alla circolarità della vita: la nascita, la crescita, la fase adulta, fino al trapasso. Il cammino molte volte è irto di ostacoli. Nel contempo ci fa scoprire non solo nuovi mondi, ma anche parti sconosciute di sé stessi.
Un’occasione per vivere nuove emozioni con la scoperta di modi di vivere e culture diversi. Una svolta alla vita per abbandonare le proprie abitudini, lasciare il consueto abito ed indossarne uno nuovo. Gli studiosi di psicologia hanno definito questa trasformazione “travel therapy”, più nota come “terapia del viaggio”. Un approccio psicologico legato all’esperienza del movimento, come mezzo di arricchimento personale. La sua durata, breve o lunga che sia, non incide su questo processo. E’ un po’ come avere tra le mani nuovi utensili di interpretazione che incideranno non poco sull’esistenza individuale e sulla percezione di chi ci sta intorno. Si palesano scenari mai immaginati e, soprattutto, tante vie per arrivare a destinazione.
Quindi, gli esperti considerano la travel therapy un’esperienza fondamentale per una persona perché offre un grosso aiuto nella cura di sé. Un momento in cui immergersi totalmente, aprirsi alla novità, incoraggiando la propria improvvisazione di fronte a luoghi impensabili. Questi imprevisti e le esperienze ad esse legati rappresentano nuove chiavi di lettura su sé stesso e su ciò che si è. D’altronde lo scrittore statunitense John Steinback del secolo scorso riteneva che: “Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone.“ La travel therapy offre a chi si sposta un modo per rigenerarsi, mutando e facendo crescere le proprie conoscenze.
Ed è efficace soprattutto nei periodi in cui va tutto storto per criticità personali, come il lutto per la perdita di una persona cara, oppure quando si ha solo voglia di non stare più in quel determinato luogo e scappare via. Bisogna, però, stare attenti, perché del viaggio esiste anche la sua ossessione, detta “sindrome di Wanderlust” e chi ne soffre desidera di continuo essere in viaggio e conoscere nuovi luoghi. Un tormento. Ora, senza mettere in dubbio la travel therapy, con la crisi economica in corso, proporla a chi non ha nemmeno gli occhi per piangere, sa tanto di beffa, oltre al danno patito. E, soprattutto, di derisione e di cattiveria verso quei poveri cristi, i migranti, che continuano a sbarcare sulle nostre coste, in fuga da guerre, fame e soprusi di ogni tipo!