Dopo 16 anni la sparizione della donna fa pensare alla sua morte violenta ma l’inchiesta si è conclusa con un nulla di fatto anche se magistrati e investigatori hanno lavorato a fondo.
AMELIA (Terni) – Che fine ha fatto Barbara Corvi? Da quel maledetto 27 ottobre del 2009 se lo chiedono in molti ma dare una risposta è quasi impossibile. Per lo meno al momento. Ipotizzarne la morte violenta, invece, è più che plausibile ma nonostante il grande impegno degli inquirenti si è andati verso l’archiviazione del caso senza che emergesse qualcosa di realmente concreto.
Alla riapertura dell’inchiesta si erano sentiti nuovi testimoni ed erano stati effettuati altri e diversi accertamenti attraverso moderne tecniche investigative e scientifiche da cui ci si attendeva davvero qualche novità importante. Anche il Gip del tribunale di Terni, Barbara Di Giovannantonio, che aveva rilanciato l’indagine dandole nuova linfa si è poi dovuta arrendere davanti all’evidenza.

Prima del Gip l’allora procuratore capo di Terni, Alberto Liguori, oggi a Civitavecchia, aveva ritirato la richiesta di archiviazione nei confronti di Roberto Lo Giudice, 52 anni, originario di Reggio Calabria, uno dei 13 fratelli Lo Giudice, figli del capobastone Giuseppe, ammazzato in un agguato di ‘ndrangheta il 14 giugno 1990. L’uomo, marito della presunta vittima, finiva in manette con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere ma poi veniva scarcerato dal tribunale del Riesame e prosciolto successivamente dalla Cassazione malgrado l’opposizione della Procura ternana.
Alla libertà dell’uomo si era opposta la famiglia della vittima, con gli avvocati Giulio Vasaturo ed Enza Rando dell’ufficio legale di Libera, che avevano prodotto agli atti diversi spunti investigativi che il procuratore Liguori faceva propri tanto da avanzare al Gip Di Giovannantonio la richiesta di nuove investigazioni. Cosi è stato. Ma nonostante gli sforzi di magistrati ed investigatori l’inchiesta finiva in un vicolo cieco e l’archiviazione, nel Luglio del 2023, non poteva che essere la sua naturale conclusione.

Nella serata del 27 ottobre 2009 Barbara Corvi, 35 anni, madre di due figli e residente a Montecampano di Amelia, in Umbria, spariva come un fantasma lasciando in casa documenti, vestiti, il cellulare e la borsa con i soldi. La donna gestiva con i genitori e le due sorelle un’attività commerciale. Barbara non andava più d’accordo con il marito e pare stesse frequentando un altro uomo con il quale avrebbe intrecciato una relazione sentimentale.
A Roberto Lo Giudice qualcuno aveva riferito della tresca e per la donna incominciavano i guai. Il fratello dell’allora indagato, Maurizio Lo Giudice, anche lui prosciolto da ogni accusa, era stato tirato in ballo da tre pentiti: Antonino Lo Giudice detto Nino (altro fratello di Roberto e Maurizio), Consolato Villani e Federico Greve. I tre collaboranti avrebbero indicato Roberto e Maurizio quali responsabili della morte e della sparizione del corpo della povera Barbara, il cui cadavere non è stato mai ritrovato.
Consolato Villani, infatti, riferiva al procuratore Liguori di essere parente dei fratelli Lo Giudice, per parte di madre, e di aver appreso da un altro componente del clan, tale Giuseppe Reliquato, cognato di Nino Lo Giudice, tra fine ottobre e inizi novembre 2009, nel negozio “Tremulini” di Reggio Calabria gestito da Reliquato, della scomparsa di un’altra donna della famiglia Lo Giudice, riferendosi a Barbara Corvi.
Nel clan dei Lo Giudice, infatti, era sparita anche Angela Costantino, 25 anni, mamma di 4 figlie e moglie del boss della ‘ndrangheta, Pietro Lo Giudice, all’epoca detenuto a Palmi. La verità balzava agli onori delle cronache dopo 18 anni: Angela sarebbe stata strangolata in casa, subito dopo il suo corpo veniva dato alle fiamme e distrutto. Il movente della sua condanna a morte riguarderebbe la propria relazione con un altro uomo mentre il marito era in cella.

Le testimonianze dei collaboratori di giustizia, fra i quali Maurizio Lo Giudice, fratello del boss Nino, avevano permesso agli inquirenti di individuare i tre responsabili dell’omicidio di Angela, poi arrestati nell’ambito di una operazione antimafia. Si trattava di Vincenzo Lo Giudice, altro fratello di Nino, considerato uno dei capi della cosca, il cognato Bruno Stilo e il nipote Fortunato Pennestrì. La Cassazione aveva poi confermato la pena a 30 anni di reclusione a carico dei due uomini, ritenuti rispettivamente mandante ed esecutore materiale del delitto.
Di Barbara Corvi però non si è saputo più nulla ma i suoi familiari non mollano. E nemmeno i magistrati hanno intenzione di mollare. Infatti nel provvedimento di archiviazione si legge: “Nonostante l’impegno investigativo profuso, non si è giunti ad acquisire gravi indizi che possano supportate un’accusa in giudizio…forti sospetti nei confronti di Roberto Lo Giudice, che però non assurgono a sufficienti e concordi elementi indiziari in relazione alla condotta omicidiaria contestata…il pubblico ministero potrà chiedere la riapertura delle indagini se ravvisi l’esigenza di nuove investigazioni”.
Le sorelle di Barbara, Monica e Irene, mantengono i riflettori accesi sulla vicenda perchè è possibile che, prima o poi, qualcosa succeda: “Sebbene siano passati tutti questi anni, in certi momenti sembra che Barbara sia ancora qui con noi – avevano detto più volte con commozione – In altri invece la sua assenza si sente, come quando pensiamo ai nipotini che sono nati dopo la sua scomparsa e che lei avrebbe amato così tanto…”.

Nel paese umbro qualcuno sa, come più di qualcuno sa a Reggio Calabria. Significativo infatti l’appello di don Tonio Dell’Olio, presidente di Pro Civitate Christiana di Assisi: “Ogni contributo può essere importante – scriveva il sacerdote ad un ipotetico testimone – E se la paura o l’incertezza dovessero tentare di avere la meglio, ti prego di pensare a cosa vorresti facessero gli altri se la vittima fossi tu o una persona a te cara. Noi stiamo cercando testimoni ed elementi nuovi che facciano luce (e giustizia), com’è normale in un Paese che rispetti la vita umana e la legalità. Te lo chiede Barbara, coloro che l’amano e tutti coloro che ne rispettano la memoria…“.