UN COLD CASE DI NOME GIORGIO PEDONE

Dissero subito suicidio e chiusero l'inchiesta. Il movente? Non avrebbe sopportato l'infamia di una figlia pornodiva ma si parlò anche di sette sataniche. Depistaggi, connivenze e complicità per mascherare un omicidio di mafia in piena regola con lo zampino del corrotto di turno.

Vigevano – Pronunciare il nome di Giorgio Pedone, da queste parti, fa ancora un certo effetto. Un poliziotto tutto d’un pezzo scomparso misteriosamente il 14 agosto del 1991 dopo quasi quindici anni di onorato servizio presso il commissariato di Vigevano, in provincia di Pavia, come dirigente particolarmente impegnato contro mafia e ‘ndrangheta.

l’ex commissariato di PS di Vigevano, in via Matteotti dove svolgeva servizio Pedone.

Negli anni ‘80 nella provincia pavese la scalata delle organizzazioni criminali siciliane a calabresi era sotto gli occhi di tutti e dieci anni dopo le mafie potevano contare su affari miliardari e addentellati in ogni ufficio delle istituzioni pubbliche ai vari livelli. Una lunga scia di sangue, sequestri, rapine ed estorsioni oltre al sempre più fiorente mercato della droga, della prostituzione, delle macchinette mangiasoldi e delle armi facevano dei clan mafiosi Valle e Lampada i padroni incontrastati della provincia di Pavia e, in parte, della provincia di Milano.

Pedone aveva compreso che la mafia si doveva combattere indagando sui conti in banca e sequestrando immobili, aziende e ogni altro bene rubato alla collettività.

Il commissario Pedone, attento e scaltro poliziotto vecchio stampo, aveva anticipato le tecniche di Falcone e Borsellino, analizzando i flussi di denaro e gli interessi economici che le famiglie mafiose spostavano tra nord e sud investendo sui mercati più fiorenti e redditizi. Pedone si era accorto che la città di Vigevano, importante polo artigianale tra i più ricchi d’Europa e altrettanto importante base strategica per i futuri affari europei, era ormai caduta nelle mani dei boss calabresi e siciliani, questi ultimi già radicati da anni in Lomellina ed autorevoli basisti per le emergenti mafie comunitarie. Giorgio Pedone aveva visto bene e non mollava le sue prede. I suoi clamorosi arresti avevano fatto epoca negli annali della polizia e ancora oggi dimostrano il grande intuito investigativo di quell’omone grande e grosso che godeva della fiducia della gente perbene ma già nel mirino dei suoi detrattori se non dei suoi assassini.

Una delle grandi operazioni antimafia condotte dal coraggioso funzionario di polizia.

Il coraggioso vicequestore muore “suicida” a 53 anni in un’afosa giornata di mezz’agosto poco distante da una cascina alla periferia di Vigevano. Proprio quel giorno il funzionario di polizia avrebbe dovuto ritirare un premio, “La Scarpina d’Oro”, al merito delle persone che si erano distinte per il bene della comunità. Subito dopo se ne sarebbe andato a Trieste, dov’era stato trasferito, ma il bravo dirigente non sarebbe mai arrivato in Comune per la cerimonia men che meno nel suo nuovo ufficio triestino. Su Pedone e sul movente della sua strana morte se ne diranno di tutti i colori. Si faranno mille congetture e ipotesi ma una sola la tesi investigativa, quanto mai sbrigativa e risolutiva, di un’inchiesta che non si farà mai: suicidio. E basta. Il resto è la storia di chi si è presa tutta Vigevano arrivando sino in Vaticano, iniziando con i videopoker e finendo con le estorsioni, passando per il riciclaggio di ingenti somme di denaro. Un fiume di soldi sporchi di sangue ricavati dai rapimenti di imprenditori e dei loro congiunti. Un’escalation di illegalità su tutti i fronti che sembrava inarrestabile come inarrestabile era stato il fenomeno migratorio dal Meridione alla Lombardia.

Cascina Dojola, in località Crocifisso, periferia di Vigevano, dove venne ritrovato il cadavere di Giorgio Pedone. Ottimo location per un agguato mafioso.

Operai e braccianti avranno un posto assicurato nelle aziende manifatturiere e in quelle agricole ma in cambio dovranno seminare morte e distruzione per conto dei boss locali, spietati e senza scrupoli. Poi arriva Pedone, un poliziotto alieno dalla politica e dalle influenze dei palazzi, che darà filo da torcere ai Valle, ai Cotronei, ai Lampada e alla peggior feccia calabrese che si è ben piazzata nella città ducale dove i soldi si fanno a palate contando su connivenze e complicità.

La bellissima piazza Ducale di Vigevano, centro di grandi interessi economici.

Per il commissario dalla mano pesante la visione delle cose è chiara: bisogna colpire la piovra in tasca. Cosi siglerà la sua condanna a morte, altro che suicidio. Si metteranno in mezzo la figlia pornoattrice e presunte indagini sul satanismo. Tutte balle. Il poliziotto verrà ucciso da chi conosceva bene i suoi movimenti. Da chi si era venduto per trenta denari alla ‘ndrina più sanguinaria che, da tempo, lo voleva morto ammazzato. A distanza di quasi trent’anni i metodi d’indagine di Giorgio Pedone potrebbero ottenere ancora ottimi risultati.  

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