Gian Carlo Miserotti, 51 anni, era il perno di un traffico internazionale di Fentanyl e contemporaneamente raffinato produttore di franchi svizzeri falsi.
Piacenza – Si chiama Fentanyl ma l’hanno ribattezzata “droga degli zombie” per i comportamenti che induce nei consumatori e i danni che provoca al corpo umano. La sua diffusione negli Stati Uniti ha prodotto un vero e proprio allarme sociale. E proprio da Oltreoceano è arrivata la segnalazione che ha consentito alla Gdf di arrestare uno dei maggiori trafficanti internazionali della devastante droga sintetica proveniente dalla Cina, un piacentino già noto alle forze dell’ordine, finito in manette insieme a sei complici per traffico internazionale di stupefacenti, fabbricazione e immissione, sul mercato, di valuta contraffatta e riciclaggio.
La storia ha una sua genesi a stelle e strisce, precisamente in Ohio, dove tra gli spacciatori di Fentanyl prende a farsi largo il nome di un fantomatico Carl, evidentemente il fornitore più importante su piazza. I poliziotti americani cominciano a indagare e grazie alle intercettazioni scoprono che Carl è residente in Italia, a Piacenza. A tambur battente la Dea contatta la Procura piacentina che a sua volta incarica la Gdf di indagare. I finanzieri riescono a dare un nome a Carl, si tratta di di Gian Carlo Miserotti, 51 anni, piacentino con precedenti per falsificazione di moneta, nel suo settore una piccola celebrità al punto da meritarsi un servizio delle Iene.
Il profilo però non corrisponde, da falsario a trafficante di droga ce ne passa. Scopriranno però i militari di aver a che fare con un criminale multitasking, astuto e versatile, in altre parole un genio del male. Per appurarlo, però, servono mesi di appostamenti, riprese video, intercettazioni telefoniche. Man mano si delinea un panorama dai contorni incredibili: Miserotti è uomo dai mille talenti, conosce la chimica e le leghe metalliche, si intende di finanza digitale e informatica. Non da ultimo è poliglotta e un criminale instancabile. Di notte trattiene rapporti con i fornitori di droga in Oriente, di giorno ritorna a coniare monete false.
Sotto gli occhi degli inquirenti Miserotti si rivela il perno di un traffico internazionale di droga che dall’India e dalla Cina approda negli Stati Uniti facendo tappa in Italia. Il piacentino ha fatto tutto con il suo computer dal quale è approdato nel dark web, ha stabilito i contatti con i fornitori asiatici e rintracciato gli acquirenti americani. Di suo c’ha messo la genialità del chimico, riuscendo a rendere la droga invisibili a dogane e servizi di sicurezza aeroportuali. In alcuni casi è riuscito a far viaggiare la droga dopo aver imbevuto della sostanza fogli di giornale. Ultimamente stava industriandosi per rendere la sostanza meno pericolosa per il consumatore, così da evitare che la sua diffusione sortisse troppo allarme tra la polizia americana, eco che avrebbe danneggiato gli affari. Secondo le risultanze dell’inchiesta Miserotti senza muoversi dal suo salotto era diventato una personalità di spicco nel mondo della droga oltreoceano: gli inquirenti hanno appurato contatti persino con il celebre cartello messicano di Sinaloa.
“Abbiamo potuto accertare come le innumerevoli spedizioni dei plichi, contenenti la droga sintetica – intestati a mittenti non rintracciabili e indirizzati a destinatari americani dalle generalità fittizie – di fatto viaggiassero direttamente sulla rotta CINA-USA. In tale ambito le investigazioni hanno permesso di risalire a circa 100 mila dosi confezionate per le singole consumazioni. Inoltre veniva appurato come le transazioni economiche – dal valore complessivo di oltre 250 mila euro – effettuate a saldo delle spedizioni illegali, avvenissero tramite strumenti di pagamento non rintracciabili mediante l’utilizzo di criptovalute (Bitcoin)”, spiegano gli inquirenti.
Per la falsificazione delle monete, il suo vecchio amore, Miserotti aveva messo insieme un gruppo affiatato che comprendeva la compagna di origini ucraine, la figlia della donna e due uomini anche loro di origini ucraine. A loro si aggiungeva un rumeno, conosciuto manco a dirlo sul dark web, che si limitava a dare una mano a distanza. In sostanza il piacentino, dopo aver studiato le leghe metalliche e aver raggiunto la perfezione, stampava monete di franchi svizzeri.
Questo per un motivo ben preciso. In Svizzera, dopo aver aperto un conto apposito, è possibile scambiare monete “contanti” trasformandole in bitcoin. Esistono allo scopo dei veri e propri sportelli automatici. Una volta inserita materialmente la moneta, questa viene trasformata nell’equivalente in bitcoin associando il denaro digitale al conto personale. E così Miserotti compiva viaggi in Svizzera finalizzati proprio a fare il cambio. Inseriva le monete da lui stesso forgiate e andava ad arricchire il proprio portafogli virtuale. Il complice rumeno, invece, si occupava di trasformare i bitcoin in euro che spediva a casa Miserotti decurtati di una percentuale del 7%.
Spiegano ancora gli inquirenti che “il piacentino aveva allestito, presso la propria abitazione, un laboratorio composto da stampanti, tornio, presse idrauliche, fornaci, crogioli per fusione e clique per la realizzazione di monete dall’altissimo pregio qualitativo. Tramite l’ausilio di complici, italiani e stranieri, veicolava sul territorio elvetico sfruttando metodologie di occultamento quali doppi fondi delle vetture o batterie dei monopattini elettrici. Giunte in Svizzera, le monete contraffatte entravano nel circuito legale attraverso l’utilizzo di macchine automatiche per le scommesse sportive, o gli ATM bitcoin. La riproduzione della valuta era talmente perfetta – per peso, calibratura e dimensioni – da sfuggire alle verifiche delle apparecchiature automatizzate presenti in Svizzera“.