Tra i vigneti e nei campi dilaga lo sfruttamento, ma l’ex ministra Bellanova imputa la morte del bracciante indiano alle campagne d’odio.
Roma – La morte del bracciante indiano Satnam Singh ha riacceso i riflettori sulla piaga del caporalato: da Nord a Sud, tra i campi e i vigneti si consuma lo sfruttamento di lavoratori, spesso stranieri, con paghe da fame e orari massacranti. Le inchieste si moltiplicano di anno in anno, ma l’illegalità che serpeggia nascosta riemerge con tutta la sua prepotenza quando ci scappa il morto. Nelle vigne, dove si produce il vino italiano tanto amato nel mondo il caporalato regna sovrano.
Lo testimoniano le inchieste degli ultimi anni. Dalle vigne del Barolo, dove tre mesi fa il gip del Tribunale di Asti ha emesso una ordinanza di misura cautelare interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l’attività professionale o imprenditoriale nei confronti di nove persone (quattro macedoni, quattro albanesi e un tunisino) responsabili di caporalato e di aver occupato alle proprie dipendenze lavoratori non in regola con il soggiorno in Italia. Per 30 dei 40 lavoratori (provenienti soprattutto dal Gambia, Senegal, Egitto e Marocco) è stato chiesto ed ottenuto il nulla osta al rilascio del permesso di soggiorno per grave sfruttamento lavorativo. Tra questi vi erano anche quelli che avevano trovato riparo in accampamenti di fortuna lungo il fiume Tanaro.
I braccianti delle Langhe venivano reclutati sul piazzale della stazione, trasportati nelle vigne per vendemmiare. Senza un contratto. Meno di sei euro all’ora, in nero, fino a 12 ore al giorno. Il fenomeno esiste, ma non si vede quando stappiamo una bottiglia di buon vino o di spumante italiano. Dalla Franciacorta (in provincia di Brescia), alle colline dell’Oltrepo pavese passando per i vigneti del Trentino o del Piemonte il caporalato c’è. E’ la Flai (il sindacato dei lavoratori agricoli della Cgil) a lanciare l’allarme: “Come in molti altri settori stagionali, in cui si effettuano raccolte periodiche di frutta, la mala pianta del caporalato cresce vigorosa e va combattuta”. A lavorare tra i filari in Oltrepo sono svariati i lavoratori senza contratto, e i carabinieri del nucleo Ispettorato del lavoro di Pavia scoprono spesso situazioni di sfruttamento.
Una piaga che la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone ha stigmatizzato, sottolineando la necessità “di fare del nostro meglio e soprattutto il nostro dovere, affinché tutti gli strumenti e tutte le norme possano contrastare efficacemente con punizioni esemplari quelle situazioni”. “Noi non abbiamo paura di intervenire, lo abbiamo fatto, lo faremo ancora e siamo determinati a evitare che ancora si debbano ripetere queste situazioni”, ha detto la ministra puntando l’accento sull’impegno “imprescindibile che il governo vuole manifestare e ha manifestato anche con gli ultimi interventi e soprattutto la politica di contrasto al lavoro sommerso, al caporalato e che ci porta ogni giorno con i nostri ispettori con i carabinieri del nucleo per la tutela sul lavoro nei campi in tutti i luoghi dove possiamo sospettare che ci sia uno sfruttamento lavorativo”.
La politica si sdegna sulla tragica fine del bracciante di origini indiane lasciato con un braccio amputato fuori la sua abitazione, dopo un gravissimo incidente avvenuto nell’azienda agricola in cui lavorava in nero per meno di cinque euro l’ora. La fine di Satnam Singh è inaccettabile, non deve ripetersi. Ma c’è un problema allarmante, che va oltre lo sdegno. Le leggi ci sono, contro il caporalato e sulla sicurezza sul Lavoro, varata nel 2008 dal secondo governo Prodi e dall’allora ministro del Lavoro, Cesare Damiano: 306 articoli e 51 allegati, scritti sull’onda emotiva della strage della ThyssenKrupp, l’acciaieria torinese in cui, nel 2007, morirono carbonizzati sette operai. Ancora oggi, parte di quelle norme sono inapplicate, perché i governi che si sono succeduti non hanno varato i decreti attuativi.
E poi c’è la legge 199 del 2016, che riconosce il caporalato come reato e inasprisce le pene. Il testo prevede l’istituzione di una “Rete del lavoro agricolo di qualità”, degli uffici di collocamento per i braccianti che dovrebbero far incontrare la domanda e l’offerta, ma ad oggi sono ancora pochi e nei territori in cui sono stati attivati sono state pochissime le aziende agricole ad iscriversi (6.113 su un bacino di circa 200 mila imprese che impiegano lavoratori subordinati, secondo l’ultimo dato disponibile). Teresa Bellanova, ex viceministra alle Infrastrutture e mobilità sostenibile, con un noto passato da sindacalista al fianco dei braccianti, è tornata a parlare della legge 199 del 2016 a tutti i settori, anche oltre l’agricoltura.
Eppure ha imputato la morte di Satnam Singh non allo sfruttamento e agli effetti devastanti del caporalato. “Colpa delle campagne di odio condotte in questi anni contro gli stranieri”, ha sottolineato l’ex ministra per le Politiche Agricole durante il governo Conte 2. E poi punta il dito contro la politica: “Io sono basita per la disumanità e per l’inqualificabile incapacità politica di affrontare questi fenomeni. Adesso tutti si strappano il cuore perché c’è una situazione così grave. Però non siamo di fronte a un’emergenza ma è il frutto di quello che non si è voluto affrontare per tanto tempo. La cosa più semplice per una classe dirigente inqualificabile è individuare un nemico contro cui aizzare le persone e questo porta al risultato che oggi non ci sia più pudore e, di fronte a un incidente gravissimo, il titolare di un’azienda si sente in diritto di scaricare il proprio lavoratore”.
Bellanova ha sempre sostenuto che in agricoltura c’è la legge 199 approvata nel 2016. Una legge che “colpisce al cuore questo fenomeno criminale: estende il Fondo antitratta alle vittime di caporalato; consente con il controllo giudiziale delle aziende la prosecuzione delle attività, la regolarizzazione dei rapporti di lavoro; chi sceglie di denunciare non perde il lavoro e individua nella rete agricola del lavoro di qualità uno strumento straordinario per sostenere e tutelare le aziende sane. Che, voglio ribadirlo, sono la maggior parte e vengono danneggiate due volte: subiscono una concorrenza sleale che può metterle fuori mercato e, quando resistono al ricatto criminale, spesso si ritrovano con i tendoni bruciati, i mezzi danneggiati, i terreni devastati“. Eppure nulla di nuovo c’è sotto il sole, e tra i campi e i vigneti il caporalato continua a regnare.
Ora il governo Meloni annuncia la lotta al caporalato, nell’ambito di una riunione tenutasi al ministero del lavoro alla presenza della ministra Marina Calderone e del suo collega dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, assieme alle rappresentanze sindacali e datoriali. “Lo scopo di tutti è dichiarare guerra al caporalato ed intensificare le azioni a contrasto di un sistema che mortifica il lavoro – ha spiegato la ministra Calderone al termine dell’incontro -, mette a repentaglio le vite umane e non fa crescere certo un comparto strategico come l’agricoltura”.
Dal canto suo, il ministro Lollobrigida ha commentato: “Una delle cose emersa dalla riunione è che in queste situazioni accade un fatto: la criminalizzazione di uno degli anelli della filiera. Al decesso di un operaio per colpa di un criminale, si criminalizzano le imprese agricole. Queste morti – ha aggiunto – dipendono da criminali, non dal sistema delle imprese agricole”. L’opposizione non ci sta e dice no alle solite misure spot: “Secondo l’osservatorio Placido Rizzotto della Cgil, il fenomeno dello sfruttamento nelle campagne italiane riguarda 230mila lavoratori. Donne e uomini che vengono sfruttati e sottopagati – hanno affermato i capigruppo M5s nelle commissioni Lavoro e Agricoltura della Camera, Valentina Barzotti e Alessandro Caramiello -. In media, difatti, la paga è di 20 euro al giorno per 10/14 ore di lavoro, vale a dire 1,40/2 euro all’ora”.
“Uno sfruttamento dei diritti umani in piena regola. Dopo la tragica morte di Satnam Singh, il governo ha deciso di muoversi. Vogliamo sperare che i provvedimenti che saranno presi non servano solo a conquistare qualche titolo di giornale ma siano realmente efficaci” e aggiungono “per quanto ci riguarda, crediamo che sia necessario rivedere il decreto Flussi, che nel 2024 è stato un fallimento, e istituire il reato di omicidio sul lavoro per casi come quello di Satnam, dove le responsabilità di datori di lavoro senza scrupoli sono evidenti”.