Il censimento 2022 conferma il trend negativo degli ultimi anni: gli italiani sono scesi sotto i 59 milioni e nemmeno l’immigrazione inverte la decrescita.
Potenza di Elon Musk. Il vulcanico patron di Tesla e X , ospite d’onore sul palco di Atreju, manifestazione di Fratelli d’Italia, dove è salito con uno dei tanti (11) figli in braccio, si è detto preoccupato per l’Italia “un buon Paese in cui investire, un grande Paese”, ma afflitto da un tasso di natalità troppo basso. Dunque: “L’Italia faccia figli o scompare. I migranti non bastano”. Miele per le orecchie dell’uditorio e tutto sommato una fotografia non sfocata del Belpaese, confermata infatti dagli ultimi dati Istat del censimento 2022.
Sul Paese, ci informa l’Istituto di ricerca, è ormai calato l‘inverno demografico e gli italiani al 31 dicembre 2022 sono scesi sotto i 59 milioni, esattamente 58.997.201 di residenti, di cui il 51, 2% sono femmine e il 48,8% maschi: una flessione di oltre 32mila unità rispetto all’anno precedente. Dalla grande recessione del 2008 la curva demografica si è fatta discendente e non si è più arrestata. Una situazione in cui il tasso di natalità crolla, l’età media della popolazione aumenta e il numero dei decessi supera ampiamente quello dei nati. Spiega l’Istat che l’Italia “perde popolazione e invecchia nonostante il contributo degli stranieri e si trova a fronteggiare un rapporto generazionale sempre è più sbilanciato: per ogni bambino con meno di 6 anni, ci sono più di 5 anziani, precisamente.
Se il trend dovesse proseguire – ad oggi le avvisaglie di un’inversione di marcia sono deboli – le conseguenze sarebbero nefaste perché lo sbilanciamento del rapporto tra anziani e popolazione attiva riduce la possibilità di produrre ricchezza e di conseguenza di mantenere sostenibile e far funzionare il sistema di welfare pubblico. Inoltre taglia drasticamente la fetta di risorse da investire sulle nuove generazioni, inducendo nuove migrazioni verso Paesi più “ospitali”. In quest’ottica nemmeno la leva dell’immigrazione potrebbe più servire perché anche i giovani qualificati dall’estero sarebbero meno invogliati a scegliere un Paese dove nemmeno gli autoctoni hanno un sostegno progettuale sufficiente.
Intendiamoci, non è che gli italiani non vorrebbero fare figli, a bloccarli sono però alcuni muri ad oggi invalicabili. Il primo è il tempo d’arrivo del primo figlio, da ricondurre alle difficoltà dei giovani nella transizione scuola-lavoro e nel conquistare una propria autonomia dalla famiglia di origine. Il secondo è quello che ostacola il percorso oltre il primo figlio: carenza di strutture e di strumenti di conciliazione e di misure a favore della condivisione tra madri e padri, che difficilmente invogliano una coppia a programmare nuove nascite. Infine, il rischio povertà che grava minaccioso su chi sceglie di avere un figlio e che in Italia è quasi il doppio tra gli under 35 – quindi tra chi dovrebbe progettare una famiglia – rispetto agli over 65.
Se non si ha il portafoglio di Musk, per il quale undici figli potrebbero addirittura essere pochi in relazioni alle disponibilità praticamente infinite, la questione della denatalità si riduce banalmente, ma al contempo drammaticamente, ad una questione economica: precariato dei giovani, carenza di asili nido, difficoltà a conciliare il lavoro di entrambi i membri della coppia con la cura dei figli, deboli e frammentate misure di sostegno alle famiglie con bambini, rendono in Italia relativamente più rilevante rispetto alla media europea l’impatto di una nascita sull’economia familiare.