Suicidio assistito, in Lombardia via libera per malato irreversibile: è il decimo caso

Ok requisiti della Consulta per accedere a fine vita. Domani in Consiglio regionale la proposta “Liberi subito” dell’associazione Coscioni.

Milano – In Lombardia è stato dato il via libera a un nuovo caso di suicidio assistito per un malato irreversibile, il decimo in Italia. Dopo sei mesi di verifiche, il paziente ha ottenuto la conferma di possedere i requisiti stabiliti dalla sentenza Cappato. La commissione medica ha riconosciuto che il malato è in possesso dei quattro requisiti fissati dalla Consulta per accedere al percorso. E adesso, se vorrà potrà andare avanti con la procedura. Attualmente, si sta procedendo con l’individuazione del farmaco e con le modalità per l’autosomministrazione, secondo quanto comunicato dall’Associazione Luca Coscioni. Tuttavia, l’associazione sottolinea che non esistono ancora regolamenti che garantiscano tempi certi per completare le verifiche su condizioni e modalità per procedere”.

“Il Consiglio regionale potrebbe rimediare tra pochi giorni – osserva l’associazione – approvando la proposta di legge popolare ‘Liberi Subito’. Stando alle dichiarazioni, invece, buona parte della maggioranza si prepara a affossare la legge senza neanche discuterla nel merito, sollevando una pretestuosa e infondata pregiudiziale di costituzionalità su una materia che è piena competenza della Sanità regionale, come questa ulteriore richiesta ad una azienda sanitaria lo dimostra”. Il caso lombardo è stato reso noto dall’associazione Luca Coscioni, tra i promotori della proposta di legge di iniziativa popolare sostenuta da 8181 firme, che domani, dopo un lungo iter di audizioni ed esami nelle commissioni consiliari Affari istituzionali e Sanità – arriverà nell’aula del Consiglio regionale.

Il caso di Dj Fabo

La proposta traduce in norma sentenza della Corte Costituzionale 242 del 2019 sul caso di Dj Fabo, che ha legalizzato l’accesso alla pratica del suicidio assistito qualora sussistano determinate condizioni di salute del paziente che ne fa richiesta. Ovvero, la presenza di una patologia irreversibile, l’utilizzo di trattamenti di sostegno vitale, la dichiarazione da parte del malato di patire sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili e la possibilità, per il soggetto, di esprimere il libero consenso e la volontà di accedere alla procedura.

In base alla sentenza della Corte costituzionale, in Italia è già possibile accedere alle procedure sanitarie per il fine vita. Questa sentenza “si basa sul riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività. La nozione include quindi anche procedure – quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali – normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o ‘caregivers’ che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo”.

La Corte ha inoltre precisato che, ai fini dell’accesso al suicidio assistito, “non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali. Dal momento che anche in questa situazione il paziente può legittimamente rifiutare il trattamento, egli si trova già nelle condizioni indicate dalla sentenza n. 242 del 2019″.

Non è il primo caso lombardo: nei mesi scorsi la Direzione generale Welfare aveva spiegato che, in tutto, erano state dieci le richieste di questo tipo arrivate alle aziende sanitarie regionali, che avevano così attivato l’iter con l’esame della domanda da parte di commissioni mediche e colleghi etici. Delle dieci, tre erano state ‘convalidate’ con il riconoscimento della sussistenza dei requisiti fissati dalla suprema Corte (l’irreversibilità della patologia, la dipendenza da sostegni vitali, la presenza di sofferenze non sopportabili e la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli).

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