L’ex procuratore di Palermo si chiede per quale motivo Riina accelerò l’esecuzione della strage pur sapendo di rivitalizzare l’odiato 41bis? Un suicidio in cambio di cosa?
Gian Carlo Caselli, ex magistrato in prima linea nella lotta al terrorismo e alla mafia, in un intervento sul quotidiano La Stampa è tornato a interrogarsi sul motivo dell’accelerazione impressa all’esecuzione della strage di via d’Amelio da parte di Totò Riina, allora capo indiscusso di Cosa Nostra. Lo ha fatto sposando la “tesi Scarpinato” o meglio la memoria che il senatore Roberto Scarpinato, ex magistrato componente della Commissione parlamentare antimafia ha depositato per rispondere alla scelta di Chiara Colosimo, presidente della Commissione, di legare l’accelerazione di via D’Amelio al supposto interessamento di Borsellino all’inchiesta mafia-appalti.
“In essa (la memoria di Scarpinato) si disegna un intreccio fra stragismo mafioso, eversione di estrema destra e interventi dei servizi deviati. – annota Caselli -. Intreccio che sconsiglia di sganciare la strage di via D’Amelio dal contesto che ne deriva, al quale pure andrebbero ricondotte la strage di Capaci e quelle del 1993. Altrimenti si rischierebbe di costruire a tavolino una motivazione di via D’Amelio tutta legata agli affari, mentre allargando il quadro si può comprendere come si puntasse molto più in là”.
Citando il libro di Giovanni Bianconi “Un pessimo affare”, l’ex procuratore capo di Palermo scrive. “Posso testimoniare che i mafiosi diventati collaboratori di giustizia erano concordi nel dire che Riina si sarebbe “giocato i denti”, nel senso della cosa più cara, pur di eliminare le leggi sui pentiti e sul 41 bis. Invece, accelerare via D’Amelio è stato come rivitalizzare un 41 bis che stava morendo, essendo ormai praticamente esaurito il tempo per la conversione in legge del decreto approvato subito dopo la strage di Capaci. Per Riina un vero disastro, un suicidio”.
Dunque, si chiede Caselli, perché Riina si presta al clamoroso autogol? “È logico concludere – spiega ancora Caselli – che nella testa di Riina, vuoi perché qualcuno glielo aveva instillato, vuoi perché lo aveva lui stesso elaborato, si era fissato un obiettivo non rinunziabile, in grado di compensare i rischi che correva resuscitando l’odiatissimo 41 bis ormai moribondo. Ma in cambio di che? È questo il punto decisivo da scoprire, se non si vuol girare a vuoto. E francamente la risposta incentrata esclusivamente sugli interessi economici legati agli appalti mi sembra debole. Anche perché è documentalmente provato che nel 1993, dopo la morte di Borsellino, l’attività della procura di Palermo in materia di appalti è stata intensa e con positivi risultati”.
Caselli conclude prendendo le parole di Giovanni Falcone che Bianconi ha usato come esergo del suo libro: “Non pretendo di avventurarmi in analisi politiche, ma non mi si vorrà far credere che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa nostra – per un’evidente convergenza di interessi – nel tentativo di condizionare la nostra democrazia, ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi».