I giudici di Brescia insistono sulla linea delle sentenze già emesse: “Manifesta inammissibilità”. Udienza rinviata al 16 aprile.
ERBA – Diciassette anni, tre gradi di giudizio e una richiesta di revisione processuale. La storiaccia della Strage di Erba sembra non finire mai e porta con sé il dolore dei familiari delle vittime e degli attuali condannati, Rosa Bazzi e Olindo Romano, dei loro avvocati, di chi si è trovato in questa vicenda volente o nolente. Venerdì 1° marzo presso la Corte d’Appello di Brescia c’è stata la prima udienza di ammissibilità della richiesta di revisione, un passo da gigante esserci arrivati, durante la quale si è cercato di screditare la portata delle prove nuove presentate dai difensori dei coniugi. Il Procuratore Generale Guido Rispoli e l’avvocato generale dello Stato Domenico Chiaro hanno parlato di “manifesta inammissibilità” e di istanze di revisione “prive di motivazioni”. Dando praticamente dei ciarlatani a chi osa mettere in discussione l’operato di chi li ha preceduti.
C’era da aspettarselo. È questo il naturale proseguimento di indagini lacunose e sentenze nelle quali si riversarono gli errori avvenuti dal 2006 in avanti, da quella stessa sera dell’11 dicembre dove, fino a mezzanotte, il colpevole era con certezza Azouz Marzouk che, per sua fortuna, non era in Italia e riuscì in una manciata di ore ad evitare di essere l’assassino di sua moglie, di sua suocera, di suo figlio e della vicina di casa. La notte stessa si cercò un sostituto colpevole, ed eccoli qui Rosa e Olindo: portati in caserma, interrogatorio, perquisizione e sequestro degli abiti nella lavatrice e nell’asciugatrice sui quali non fu mai trovata nemmeno una goccia di sangue. Nemmeno in casa loro, in verità, e nemmeno sulla scena del crimine. A quindici giorni dai fatti comparve una minuscola macchia di sangue sulla loro macchina, di cui oggi la difesa mette in discussione la certezza con una ferrea consulenza.
Sono passati tanti anni tra polemiche, processi e colpi di scena ma la domanda rimane sempre la stessa: si può affermare oltre ogni ragionevole dubbio che siano loro gli assassini? Gli interrogatori nei quali confessarono la strage sono zeppi di interventi suggestivi avvenuti su due persone fragili: Rosa è portatrice di una disabilità intellettiva (ritardo mentale) e di patologia psichiatrica. Olindo ha la stessa patologia (disturbo dipendente di personalità) e ha una struttura di personalità acquiescente, che crede a qualunque cosa gli venga prospettata, soprattutto se proveniente da figure autorevoli. Le confessioni risultano piene di errori: Rosa e Olindo, su alcuni punti, raccontano due storie diverse, non combacianti e non aderenti ai dati criminalistici ovvero di quello che avvenne la sera della strage.
Non sanno nemmeno dire con chiarezza perché e come li uccisero. E ogni volta, a distanza di giorni o di mesi, mutano versione, raccontano un’altra storia. Non forniscono nessun elemento che non fosse già a conoscenza degli investigatori, discriminante fondamentale per sapere se ci si trova di fronte a una confessione genuina o meno. Ma per gli inquirenti quelle confessioni sono perfette, e loro sono i mostri, che orrore. Anche per i procuratori della Corte di Brescia restano tali, a sentire le loro arringhe, e viene messa in discussione la loro vulnerabilità: non sono stupidi, anzi talmente abili da aver ingannato anche i test neuropsicologici, e i Ris (Raggruppamento Investigazioni Scientifiche, il non plus ultra in tema di ricerca di tracce). Lo dimostrino, però. Le corpose consulenze tecnico-scientifiche allegate alla richiesta di revisione, in relazione a quelle confessioni, lo fanno. E dicono chiaramente che Rosa e Olindo confessarono falsamente, autoaccusandosi di reati non commessi.
Torna l’oltre ogni ragionevole dubbio anche nel secondo pilastro dell’accusa, il super testimone che tanto super non sembra. E torna la domanda: si può affermare con certezza che Mario Frigerio riconobbe Olindo come suo aggressore? Per i giudici dei tre gradi di giudizio sì, e anche l’altro ieri per la parte accusatoria andata in scena a Brescia, ovvero Il Procuratore Generale, l’avvocato dello Stato e gli avvocati delle parti civili Frigerio e Castagna: “Frigerio lo ha riconosciuto, subito, è stato Olindo”. E allora perché, viene da chiedersi (in chi si pone dubbi e domande), il testimone più e più volte descrive un uomo dalla pelle olivastra, più alto di lui, con tanti capelli neri e occhi scuri che nulla c’entra con le fattezze fisiche di Olindo? Mario Frigerio lo dice agli inquirenti, al suo avvocato e anche ai figli. Poi, il cambio di versione, l’uomo olivastro “mai visto” diventa il vicino di casa. Che cosa è accaduto? Certamente, scrivono i consulenti in merito a questo riconoscimento, Mario Frigerio aveva una cattiva condizione cognitiva (in particolare mnestica) a seguito dell’intossicazione da Monossido di Carbonio (dovuto al fumo dell’incendio, a cui fu esposto per oltre mezz’ora) e a seguito delle lesioni dovute all’aggressione subita.
Quando Mario Frigerio fu sottoposto agli interventi suggestivi (documentati), questi attecchirono proprio date le sue condizioni e provocarono false memorie, in particolare riguardo a Olindo Romano come aggressore, ma non solo. Anche in questo secondo tassello, considerata prova nei gradi di giudizio precedenti, si hanno dunque racconti che mutano e si trasformano, pressioni negate dai giudici di merito. I consulenti le hanno documentate, minuziosamente, contandole e classificandole una per una. Basta leggere con onestà.
Sono sufficienti, se ve ne fosse bisogno, un altro paio di esempi fra i tanti disponibili, per confermare la direzione che venne data alla scrittura della strage di Erba che vede Rosa e Olindo colpevoli perfetti. Il 20 dicembre 2006, l’allora comandante della stazione dei carabinieri di Erba, il Luogotenente Gallorini, andò ad ascoltare Mario Frigerio in ospedale. Per nove volte gli nominò Olindo Romano. Durante l’udienza dibattimentale, lo stesso Gallorini affermò di non aver mai fatto il nome.