Il servizio di vigilanza andrebbe comunque riveduto e corretto. Sarebbero decine i personaggi che mantengono agenti al seguito nonostante siano decaduti i motivi di rischio all’incolumità. E altrettanti i tagli incomprensibili
A inizio febbraio 2019 al giornalista Sandro Ruotolo, minacciato dal clan dei Casalesi, veniva tolta la scorta per la propria sicurezza personale, con decorrenza dal 15 febbraio. Questa misura accompagnava il giornalista da maggio 2015, dopo che, da alcune intercettazioni ambientali in carcere, era risultato che il boss Michele Zagaria voleva squartarlo vivo.
In una recente puntata della trasmissione “Servizio Pubblico” Ruotolo riferiva che il boss aveva avuto contatti con i servizi segreti negli anni dell’emergenza rifiuti in Campania: questo il motivo di tanta ferocia. Per fortuna, dopo le numerose sollecitazioni avanzate da vari esponenti istituzionali e di governo, la revoca della scorta è stata sospesa e ad oggi il giornalista può disporre ancora di questa misura di sicurezza. Anzi, dal 24 settembre, la protezione prevista per Sandro Ruotolo è stata rafforzata con un’auto blindata.
Roberto Saviano è sotto costante scorta della polizia dal 2006, dopo aver pubblicato il libro ‘Gomorra’, denunciando le pratiche della camorra napoletana. A giugno 2019, l’allora ministro dell’Interno Salvini, con un video pubblicato sui social, annunciava che sarebbe intervenuto con un provvedimento amministrativo per limitare le scorte di tutela personale. Nel video mandava “un bacione” a Saviano, facendo intendere che sarebbe stato uno dei primi destinatari delle nuove disposizioni in materia.
Il Consiglio d’Europa ha ritenuto le parole dell’ex ministro Salvini intimidatorie, ma ad oggi sono rimaste solo parole, poiché niente è accaduto alla scorta di Roberto Saviano.
L’allarme sulla revoca delle scorte a soggetti in pericolo non si è comunque placato. L’8 luglio 2019, l’allora ministro Salvini, come annunciato, ha firmato una direttiva sull’assegnazione delle scorte, tagliandone ben 49, 24 delle quali erano riservate a cariche politiche. Il provvedimento di natura amministrativa si propone di razionalizzare le misure di protezione esistenti sulla base di criteri più stringenti e di un’analisi più rigorosa delle situazioni di reale rischio.Sarà possibile così recuperare centinaia di donne e uomini delle Forze dell’Ordine per redistribuirli nelle varie altre funzioni di pubblica sicurezza.
Già il 1° giugno 2019, comunque, all’esito di un primo intervento di riduzione, le misure di sicurezza erano 569 (contro le 618 del 2018) con un calo di circa il 9% del numero di agenti utilizzati sia per le scorte personali che per le vigilanze fisse. Nel 2019 sono state 2.015 le unità delle forze di polizia impiegate (203 in meno rispetto all’anno 2018), oltre alle 211 unità per le vigilanze fisse (contro le 230 del 2018), alle 404 vetture blindate (434 nel 2018) ed alle 234 unità non specializzate (266 nel 2018).
Le categorie maggiormente tutelate sono: magistrati, imprenditori e diplomatici, politici, giornalisti e alti dirigenti dello Stato. Sono aumentati i giornalisti sotto scorta e diminuiti i politici. Stabili i magistrati e religiosi. Vi è una lieve variazione nelle altre categorie: quella dei familiari dei collaboratori di giustizia, diminuiti di una unità e quella degli ex testimoni di giustizia, dimezzati rispetto al 2018.
A fine maggio 2019, l’Ucis ha revocato ogni forma di protezione all’ex pm della Trattativa Stato-mafia, Antonio Ingroia, ritenendo che non sussistessero più ragioni di pericolo.
Il 16 ottobre è stato invece revocato il servizio di tutela disposto in favore dell’ufficiale dei carabinieri che mise le manette ai polsi di Totò Riina nel 1993: il colonnello Sergio De Caprio detto “Ultimo”. La reazione non si è fatta attendere, ed è immediatamente stata organizzata una petizione online sul celebre sito “Change.org”, per chiedere un ripensamento circa questa decisione.
L’iniziativa sembra aver avuto successo: in questi giorni è giunta la notizia che è stata restituita la scorta all’ufficiale dei carabinieri. Il Tar del Lazio ha infatti sospeso in via cautelare il provvedimento con cui il Ministero dell’Interno aveva revocato il sistema di protezione al colonnello De Caprio, accogliendo il ricorso d’urgenza del suo avvocato Antonio Galletti.
Dopo la cattura di Riina, dal 1993 al 1997, De Caprio si è dedicato alla ricerca di altri pericolosi latitanti, fino allo scioglimento del Crimor, di cui era a capo. È rimasto nel Ros, da cui ha poi chiesto il trasferimento nel 2000.