Scuola e formazione: siamo in forte ritardo

Sono stati diffusi alla stampa i dati del Rapporto Plus 2022 a cura dell’Inapp, Istituto nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche, ente di ricerca, analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro. Dallo studio diverse le novità, non tutte buone.

Roma – Il Rapporto Plus (Participation, Labour, Unemployment, Survey) è una rilevazione il cui scopo è l’analisi di alcuni target del mondo del lavoro, tra cui giovani, donne, over 50. Ebbene è emerso un quadro a tinte fosche della società italiana, a livello dei Paesi del terzo mondo, altro che G20! Ben 4 milioni di italiani abbandonano gli studi di scuola media superiore dopo l’iscrizione. 5 milioni si iscrivono all’Università, ma non riescono a portare a termine gli studi, mentre un esercito di quasi 12 milioni di persone non ha nemmeno iniziato il percorso di istruzione secondaria. 4 cittadini su 10, in un’età compresa tra il 18 e 74 anni, sono in possesso solo della licenza media inferiore.

Una moltitudine senza arte né parte, alla mercé spesso di quelle zone di confine tra il legale e l’illegale, cosiddette borderline. Si tratta di un numero considerevole, quasi 18 milioni di italiani. Altrettanti, hanno raggiunto, comunque, il diploma. Un po’ oltre il 6 milioni sono i laureati, mentre solo il 3% è in possesso di titoli superiori alla laurea, come master e dottorati di ricerca.

Sono dati che fotografano in modo abbastanza netto il nostro sistema di istruzione e di formazione professionale che deve essere migliorato per garantire una migliore aderenza dei percorsi formativi ai bisogni di competenze emergenti dall’evoluzione della società e per garantire anche un adeguato sistema di orientamento e di supporto capace di rompere la frequente dipendenza dei percorsi formativi dal retroterra culturale e reddituale dei genitori. Orientamento, investimenti nella scuola, sostegno ai più fragili sono attività da sostenere per garantirsi nuove generazioni integrate e adeguate ai tempi, sia come cittadini che come lavoratori” ha dichiarato il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda.

Sebastiano Fadda, presidente Inapp.

Ora tutto questo stride fortemente con la vulgata corrente che ci mostra una società al passo coi tempi e pronta a raccogliere le nuove sfide tecnologiche. Ma la realtà vira in tutt’altra direzione. Il rischio più palese che si corre è di vedere crescere la forbice tra chi è benestante e chi non ha nemmeno gli occhi per piangere, con tutti gli effetti di disagio sociale e conflittuale che si riversano sul tessuto sociale. Ma, come diceva il grande Ennio Flaiano: “La situazione politica è molto grave, purtuttavia non è seria”. A significare che di fronte alle problematiche si fa finta di niente, si gira il capo dall’altra parte e si affrontano con superficialità e approssimazione. Mentre ci sarebbe bisogno di un New Deal (nuovo corso) il programma attuato dal presidente degli USA F.D. Roosevelt dal 1933 al 1939 per arrestare la grande depressione e promuovere la riforma dell’intero sistema economico, in modo da permettere una più equa distribuzione della ricchezza una maggiore stabilità.

Franklin Delano Roosevelt, promotore del New Deal.

Gli interventi economici del New Deal si basavano sostanzialmente su due punti. Il primo era quello di aumentare significativamente i controlli delle banche e delle holding, verificando periodicamente i loro investimenti e il loro capitale. Il secondo punto era quello di sostenere la domanda interna del Paese. Per mettere in atto una siffatta politica, c’è bisogno di una classe dirigente che abbia una visione e un progetto a lungo termine, oltre alle competenze necessarie. Tutte caratteristiche che, purtroppo, latitano. Le uniche visioni che vengono manifestate da ogni compagine governativa sono quelle di poggiare i propri luridi deretani sulle cadreghe dei consigli di amministrazione della Rai e degli altri enti pubblici. Per il resto: meglio stendere un velo pietoso!

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