Salta l’udienza al Tribunale di Sorveglianza. L’ex comandante: “Non c’erano più le condizioni per procedere”. Nel naufragio morirono 32 persone.
Roma – Francesco Schettino, l’ex comandante della Costa Concordia condannato a 16 anni per il naufragio del Giglio del 2012, ha rinunciato alla richiesta di semilibertà. L’udienza, prevista per oggi davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma, è stata annullata dopo la decisione comunicata questa mattina dalla sua avvocata, Francesca Carnicelli: “Abbiamo rinunciato perché ci sono state difficoltà con la proposta lavorativa sottoposta al tribunale. Il procedimento è chiuso con un non luogo a provvedere”.
La rinuncia improvvisa
L’udienza, inizialmente fissata per il 4 aprile e poi slittata per il cambio del giudice relatore, avrebbe dovuto valutare se Schettino, detenuto a Rebibbia dal maggio 2017, potesse accedere al regime di semilibertà, avendo scontato oltre metà della pena. “La rinuncia è stata una scelta di Schettino”, ha precisato Carnicelli. “Non c’erano più le condizioni per procedere, ma in futuro, se si creeranno i presupposti, ripresenteremo la richiesta. Attualmente può già usufruire di permessi per uscire dal carcere”. La proposta lavorativa, elemento chiave per ottenere la misura alternativa, sembra essere il nodo che ha fatto naufragare l’istanza, anche se non sono stati forniti dettagli specifici.
La richiesta di semilibertà
Schettino, assistito anche dall’avvocata Paola Astarita, aveva presentato la domanda di semilibertà forte di una condotta carceraria esemplare e del tempo trascorso in detenzione. “Spero che vinca il diritto”, aveva dichiarato Astarita, sottolineando la legittimità della richiesta. L’ex comandante, che dal 2020 lavora alla digitalizzazione di processi interni al carcere, avrebbe potuto lasciare Rebibbia di giorno per un’occupazione esterna, rientrando la sera. Le udienze precedenti, tutte rinviate per approfondimenti, avevano lasciato intravedere spiragli, ma la rinuncia odierna chiude, almeno per ora, questa possibilità.
Il naufragio della Costa Concordia
La tragedia risale al 13 gennaio 2012, quando la Costa Concordia, sotto il comando di Schettino, colpì uno scoglio al largo dell’Isola del Giglio durante un “inchino” ravvicinato alla costa. L’impatto, avvenuto alle 21:47, causò l’affondamento della nave e la morte di 32 persone, con centinaia di feriti tra i 4.229 passeggeri e membri dell’equipaggio. Schettino fu accusato di aver abbandonato la nave prima dell’evacuazione completa, un gesto immortalato dalla celebre telefonata con il capitano Gregorio De Falco: “Vada a bordo, c…!”.

Il lungo iter giudiziario
Arrestato il 16 gennaio 2012, Schettino passò dal carcere ai domiciliari, poi all’obbligo di dimora a Meta di Sorrento fino al 5 luglio dello stesso anno. Le indagini, chiuse il 20 dicembre 2012, coinvolsero otto indagati: cinque patteggiarono pene minori, mentre Schettino fu rinviato a giudizio il 22 maggio 2013 per omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, naufragio colposo e abbandono di nave. La condanna a 16 anni arrivò il 15 febbraio 2015 a Grosseto, confermata in appello a Firenze e divenuta definitiva in Cassazione il 12 maggio 2017. Costa Crociere patteggiò una sanzione da un milione di euro.
Schettino a Rebibbia
Dal 13 maggio 2017, Schettino è detenuto a Rebibbia, dove ha mantenuto un profilo basso. La sua condotta gli ha garantito permessi premio e un lavoro interno, ma la rinuncia alla semilibertà segna una battuta d’arresto nel percorso verso una maggiore autonomia. La vicenda giudiziaria e umana dell’ex comandante continua a dividere l’opinione pubblica, tra chi lo vede come il responsabile di una tragedia evitabile e chi ne riconosce il diritto a un reinserimento graduale dopo anni di carcere.