Il ministro dei Trasporti e lo scrittore si sono incontrati al Tribunale di Roma per l’udienza del processo per diffamazione. Sette anni dopo i post incriminati, il caso divide ancora.
Roma – Un incontro carico di tensione quello avvenuto al Tribunale di Piazzale Clodio a Roma tra Matteo Salvini e Roberto Saviano. I due protagonisti di una vicenda giudiziaria che si trascina dal 2018 si sono trovati faccia a faccia durante l’udienza del processo per diffamazione che vede imputato l’autore di “Gomorra”.
La scena, raccontata dal ministro dei Trasporti, è emblematica del clima che ancora circonda questa controversia: “Ho stretto la mano a Saviano in aula e lui mi ha detto vergognati. È un maleducato ma non è certo un reato”, ha dichiarato Salvini all’uscita dal tribunale.
La querela
Il caso nasce da alcuni post pubblicati da Saviano nel 2018, quando Salvini ricopriva il ruolo di ministro dell’Interno nel primo governo Conte. In uno di questi messaggi social, lo scrittore aveva definito il leader della Lega “ministro della mala vita”, citando una frase dello storico Gaetano Salvemini. Un’espressione che aveva spinto Salvini a presentare querela per diffamazione.

“Io non ce l’ho con lui”, ha spiegato ieri il vicepremier. “Se qualcuno mi dà del mafioso o amico della ‘ndrangheta non è normale: non è normale per un ministro, per un padre, per un cittadino. Noi i clan li abbiamo combattuti”.
La strategia comunicativa di Saviano
L’attesa per l’udienza era stata alimentata dallo stesso Saviano attraverso i social media. Prima un sondaggio provocatorio (“Dopo 7 anni Salvini si presenterà a testimoniare?”), poi una serie di post che hanno preceduto l’appuntamento in tribunale. Una strategia comunicativa che ha trasformato l’udienza in un evento mediatico.
“Le indagini si sono chiuse nel 2018, eppure siamo nel 2025 e il processo è ancora in corso, senza che Salvini sia mai stato ascoltato”, aveva scritto Saviano, sottolineando come il leader leghista avesse disertato le udienze precedenti. “Io ci sarò, per difendere la mia libertà di espressione, convinto che sia fondamentale per tutelare il diritto di criticare duramente il potere politico”.

Libertà di espressione vs tutela della reputazione
Il caso Salvini-Saviano rappresenta un esempio paradigmatico del difficile equilibrio tra libertà di espressione e tutela della reputazione personale nel dibattito pubblico italiano. Da una parte, Saviano rivendica il diritto di criticare aspramente il potere politico, dall’altra Salvini sostiene di dover tutelare la propria immagine da accuse che considera infamanti.
Lo scrittore aveva anche fatto riferimento alle minacce di togliergli la scorta: “Salvini finalmente spiegherà perché ha portato a processo le mie parole e perché ha fatto campagna elettorale minacciando di togliermi la scorta, come se la scorta fosse un premio”, aveva scritto sui social.
Un processo che divide l’opinione pubblica
Sette anni dopo i fatti, il processo continua a dividere l’opinione pubblica italiana. Per alcuni, Saviano rappresenta la voce critica necessaria in una democrazia, capace di denunciare derive autoritarie e compromessi con la criminalità. Per altri, lo scrittore avrebbe superato i limiti della critica legittima, sconfinando nell’offesa personale.
L’episodio della stretta di mano seguita dal “vergognati” di Saviano cristallizza questa polarizzazione, mostrando come le ferite aperte nel dibattito pubblico italiano fatichino a rimarginarsi