ROMA – SCANDALO DEGLI EMODERIVATI: IL COMMERCIO DEL PLASMA IN TEMPO DI COVID.

In Italia il sangue e gli emoderivati estratti con prelievo, sono considerati un bene pubblico e tutelati dalla legge. Secondo i dati dell'Avis, aggiornati al 2018, sarebbero 1. 271 066  i donatori di sangue in Italia, per un totale di  2.013. 088 donazioni, a titolo completamente gratuito. Nell'immaginario collettivo si pensa che l'atto di altruismo dei donatori si trasformi in beneficio diretto per i malati. Ma è proprio così?

Roma – Il commercio del plasma, derivato che si ottiene dal sangue, sembra avere crescenti implicazioni etiche, geopolitiche e commerciali. Il valore di questo prodotto che come per il sangue si ottiene grazie alla disponibilità dei donatori, ha visto un’ulteriore impennata della sua importanza dopo il Covid 19. Il dono dei volontari in Italia è  anonimo, volontario e gratuito ma non è dappertutto così. Negli Stati Uniti e in Germania, per esempio, i donatori vengono remunerati. Le associazioni italiane preposte alla raccolta degli emoderivati percepiscono per ogni donazione di sangue intero, cioè per sacca di sangue 61,50 euro e 70,75 euro per ogni donazione di plasma.Questi rimborsi andrebbero a coprire le spese dell’attività associativa e i costi di prelievi e confezionamento.

La donazione del sangue.

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Il Piano nazionale Plasma 2016-20 è un documento con il quale l’Italia persegue il raggiungimento dell’autosufficienza nazionale del fabbisogno di sangue ovvero lo stoccaggio di quantità sufficienti per il nostro Paese di quella che è diventata una risorsa strategica sullo scacchiere internazionale, alla stessa stregua delle fonti energetiche  e dall’acqua. La situazione del sangue in Italia ha raggiunto l’autosufficienza per quanto riguarda la domanda e l’offerta interna da anni. E meno male. Per quanto riguarda invece il plasma la raccolta sul nostro territorio riesce a coprire circa il 70% del fabbisogno. Intorno al sangue e agli emoderivati nuotano come squali le multinazionali, specie in tempi di pandemia e per più che ovvi motivi.

In tempi di Covid il plasma trattato rappresenta la cura più importante. Un fiume di soldi per le aziende.

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Il sangue infatti, ma soprattutto il plasma (che si può prelevare direttamente dal paziente senza estrarlo dalla sacca contenente liquido ematico con un procedimento denominato plasmaferesi), può essere “lavorato” esclusivamente da cinque aziende ai sensi del decreto legge del 5 dicembre 2014 firmato a suo tempo da Beatrice Lorenzin. Queste sono l’americana Baxter Manufactoring con  stabilimenti a Rieti e Pisa, ceduti poi alla giapponese Takeda; l’australiana Csl Behring con stabilimenti a Berna; la spagnola Grifols, l’autoctona Kedrion Biopharma con stabilimenti a Bolognana, Gallicano, Lucca, Sant’Antimo (Napoli), la svizzera Octapharma con stabilimenti a Stoccolma. Queste multinazionali detengono la tecnologia e il know how per la  lavorazione degli emoderivati che producono farmaci salvavita, esclusivo patrimonio aziendale.

Impianti Baxter.

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In Italia non esiste un’azienda pubblica che si occupi  di plasmalavorazione e c’è da stupirsi di questa mancanza in un settore dove le donazioni si fanno per pura solidarietà e altruismo. Nella situazione attuale del Covid, la sperimentazione e la realizzazione di un farmaco, basato sulle immunoglobuline provenienti da plasma iperimmune estratto da pazienti che hanno superato la malattia, fornirebbe gli anticorpi immunizzanti. La cura, che  avviene attraverso trasfusioni, è attualmente oggetto di una sperimentazione in tutta Italia e avrebbe un ritorno economico imponente.

Salvate centinaia di persone dalla pandemia con il plasma iperimmune. La corsa ai soldi.

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I metodi per effettuare la donazione sono due: la donazione standard che è quella con la classica sacca di sangue intero per le trasfusioni o per preparazione di emocomponenti, da cui verrà estratto il plasma per scomposizione o la plasmaferesi (ovvero la raccolta diretta del plasma grazie ai separatori cellulari che contemporaneamente al prelievo separano le componenti e li immettono di nuovo nel circolo del donatore). Oppure prelevando dal volontario solo il plasma, l’operazione potrà essere ripetuta dopo 14 giorni, cosa non fattibile per il sangue. Il plasma raccolto con la plasmaferesi richiede al cittadino una permanenza nella struttura di circa 35 minuti. Per lo stoccaggio invece è tutto più semplice perchè il prodotto è già pronto e viene congelato immediatamente. Il prelievo del sangue intero richiede sempre poco più di un quarto d’ora ma una lavorazione più lunga. Il sangue viene centrifugato per separarne i componenti e congelato dopo 6 ore. Una volta stoccato in celle frigorifere, viene consegnato all’industria. Il plasma verrà dunque processato e le sue proteine subiranno un trattamento industriale di raffinamento per essere poi trasformate in farmaci plasmaderivati, i cosiddetti farmaci salvavita indispensabili per le  cure oncologiche, ematologiche, per l’ anemia cronica, le immunodeficienze e l’ emofilia.

Lavorazione del sangue per ricavare emoderivati fra cui il plasma.

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A queste malattie si aggiunge ora  la pandemia che stiamo attraversando e che favorirà  l’azienda che sarà in grado di fornire un emoderivato terapeutico nel più breve tempo possibile. La concorrenza dei fornitori potrebbe abbassare il  prezzo delle prestazioni che le aziende offrono allo Stato committente ma potrebbero verificarsi scenari più inquietanti legati alla geopolitica.

40 euro circa a sacca: il commercio del sangue umano in Usa.

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Gli Stati Uniti, con la loro opinabile estrazione di sangue, sono i maggiori produttore di plasma e farmaci plasmaderivati.  Il 60% della produzione globale è in mano loro. Le cifre da capogiro che si prospettano in un prossimo futuro intorno ai plasmaderivati, sono in forte ascesa e le proiezioni parlano di 20 miliardi di dollari nel 2021. Nell’eventalità di una pandemia più devastante di quella che stiamo attraversando, l’autosufficienza di ogni nazione  sul piano del sangue e degli emoderivati, farebbe la differenza tra la vita e la morte di milioni di cittadini. In uno scenario apocalittico a nulla varrebbe una cospicua disponibilità economica se gli Usa, i maggiori fornitori mondiali di plasma, decidessero di usare il prodotto stoccato per il loro fabbisogno interno senza vendere nulla a Paesi terzi.

Dall’altruismo del volontariato al profitto che non guarda in faccia nessuno.

Gli Stati Uniti hanno monetizzato gli approvvigionamenti di sangue offrendo una retribuzione ai donatori il cui importo è assai lontano dal valore reale. Da anni vengono denunciati i metodi persuasivi e le selezioni poco accurate nel reperimento del sangue americano. La terribile realtà di un Paese che non fornisce ai suoi cittadini un’assistenza  medica gratuita, porta le persone più povere e bisognose a vendere il proprio sangue. La maggior parte dei centri emotrasfusionali a “stelle e strisce” si trovano “casualmente” nei sobborghi più poveri delle grandi città. Una strana coincidenza? I centri di prelievo, diversamente dall’Italia, non controllano lo stile di vita di queste persone diseredate e non seguono protocolli di sicurezza per la loro salute. Da diverse testimonianze si evince che le persone in difficoltà economiche arriverebbero anche a presentare false credenziali pur di poter “vendere” il sangue con una frequenza superiore a quella consentita che in Italia è di almeno tre mesi. I 40 dollari a sacca che ricevono i donatori statunitensi incidono sulla qualità del prodotto, con i gravi problemi che ne possono seguire. 

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URGE CAMBIARE MODELLO DI SVILUPPO. AL CONTRARIO SIAMO FOTTUTI.

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