In attesa del vaccino tutto made in Italy, gli altri non darebbero piena garanzia di efficacia. A ribadirlo un eminente scienziato americano durante un'intervista al New York Times
Roma – Qualche volta succede che la scienza dia i numeri. E non è solo un modo di dire.
Dopo la corsa al vaccino anti Covid, le grandi case farmaceutiche hanno fatto a gara a “chi la spara più grossa” riguardo l’efficacia del proprio farmaco: 90%, 92%, 95% e così via.
Oggi scopriamo che questi numeri, se non fossero superiori a 90, potrebbero essere buoni per il Lotto, considerato che una nuova ricerca indipendente smonta clamorosamente queste cifre.
È il British Medical Journal a riportare il dato secondo cui l’efficacia di questi vaccini si aggirerebbe in realtà tra un misero 19% – 29%. Un autentico bluff?
Peter Doshi, docente associato presso l’Università del Maryland, voce autorevole a livello mondiale nel campo della ricerca sui servizi sanitari farmaceutici, parla chiaro al New York Times: dopo aver esaminato i dati resi pubblici da Moderna e Pfizer, il professore smonta pezzo per pezzo la trionfale narrativa riportata finora dai presunti guru mondiali del farmaco.
Già cinque settimane fa Doshi aveva sollevato domande sui risultati sperimentali di questi vaccini, poiché tutto ciò che era di pubblico dominio si limitava a protocolli di studio e comunicati stampa.
“…Mentre alcuni dei dettagli aggiuntivi sono rassicuranti, altri no”, taglia corto Doshi riferendosi alle 400 pagine di dati presentati dalla Food and Drug Administration.
A quanto risulterebbe i dati scientifici si rivolgono ad un’analisi fatta su “sospetti Covid19” mentre “quelli con Covid sintomatico non erano confermati”. Dati minati dunque.
Ci sarebbe troppa incertezza nel quadro generale delle sperimentazioni e questo influisce sulla percentuale effettiva di efficacia del vaccino, che a questo punto sarebbe “…Molto al di sotto del 50% per l’autorizzazione fissata dalle autorità di regolamentazione…”.
Insomma gonfiamo un po’ i numeri in modo da ottenere l’autorizzazione, che sarà mai?
“…Anche dopo la rimozione dei casi verificatisi entro 7 giorni dalla vaccinazione (409 su vaccini Pfizer contro 287 su placebo) che dovrebbe includere la maggior parte dei sintomi dovuti alla reattogenicità del vaccino a breve termine, l’efficacia del vaccino rimane bassa: 29%”, dice Doshi.
A quanto pare si sarebbe pasticciato molto durante la fase di sperimentazione: i falsi positivi e i falsi negativi limitano l’attendibilità dei dati. A questo punto, il solo dato certo pare essere il tasso di soggetti ricoverati, i casi in terapia intensiva e i decessi. “…Sembra giustificato – commenta Doshi – ed è l’unico modo per valutare la reale capacità dei vaccini di eliminare la pandemia…”.
Resta il problema dei dati mancanti e non è un problema da poco.
“…C’è una chiara necessità di dati per rispondere a queste domande. Ma il rapporto di 92 pagine di Pfizer non menzionava i 3410 casi di ‘sospetto Covid19’ – afferma il professor Doshi – né la loro pubblicazione sul New England Journal of Medicine. Nemmeno uno dei rapporti sul vaccino Moderna. L’unica fonte che sembra averlo segnalato è la revisione della FDA (Food and Drug Administration) del vaccino della Pfizer…”.
Non solo: gli studi sembrano parziali e poco comprensibili, ad esempio non è affatto chiara la questione dell’effetto di altri farmaci sul decorso della malattia.
Nessuna menzione nemmeno riguardo agli anticorpi. Nulla sull’eventuale sintomatologia dei soggetti nella prima settimana dopo la vaccinazione.
“…Occorrono dati grezzi – sostiene ancora Doshi – ma nessuna azienda sembra aver condiviso i dati con terze parti su questo punto… Pfizer afferma che sta rendendo i dati disponibili su richiesta e soggetti a revisione… Moderna afferma che i dati potrebbero essere disponibili su richiesta una volta completato lo studio…”.
Quindi le nubi si dissiperanno, forse, tra la metà e la fine del 2022, dato che il controllo previsto è di 2 anni. E questo vale per ogni vaccino realizzato finora.
Insomma, in parole povere: non ci sono dati sufficienti, alcuni di essi sarebbero stati parzialmente truccati, forse la sperimentazione è stata effettuata in modo non idoneo, non si conoscono effetti collaterali nel medio lungo termine, non si conosce nemmeno l’efficacia del farmaco.
Ma i virologi vip spingono come pazzi per il vaccino.
La sensazione di essere cavie di un esperimento su larga scala non è più monopolio dei complottisti, ma un pensiero sempre più insistente e reale.
Inutile additare chiunque ponga un ragionamento critico con il termine “negazionista” e, permetteteci un appunto, utilizzare un termine destinato a coloro che negano l’Olocausto, non ci pare etico. Sarebbe ora di smettere di utilizzarlo fuori luogo, suvvia.
La gente si pone semplicemente domande e non trova le risposte. La scienza è per propria natura spiegazione. Diversamente, diventa dogma. E oggi sembra proprio di trovarsi di fronte a questo: un nuovo culto nato dal Covid.
Si richiede un atto di fede verso un farmaco la cui efficacia è tutt’oggi sconosciuta. Chissà cosa ne penserebbero Sabin, Jenner, Pasteur e tanti altri scienziati con la S maiuscola. Lasciateci il beneficio del dubbio.
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