Tra le notizie del giorno assume particolare interesse quella del parere formulato dalla Commissione parlamentare Antimafia sul delitto Pasolini. Dubbi e perplessità permangono comunque.
Roma – Nella Relazione approvata sul finire della scorsa legislatura – e ora resa pubblica – pur ammettendo che le soluzioni di carattere giudiziario «appaiono ormai del tutto improbabili», la morte dello scrittore viene finalmente messa in connessione «con il furto della pellicola originale di Salò o le 120 giornate di Sodoma»: è risaputo, ma ora lo ammette un organismo istituzionale.
La Commissione denuncia poi le «omissioni particolarmente gravi» negli «accertamenti immediati che si sarebbero dovuti svolgere» e ricorda «la mancata audizione dei testimoni che abitavano nelle baracche della zona e che avevano udito quanto avvenuto quella notte e che avrebbero sin dal principio dato conto dell’evidenza che l’aggressione fu condotta da numerose persone», e non dal solo Pelosi, indotto ad auto-accusarsi, come invece recitano nel 1976 le sentenze di primo e secondo grado (nella prima si ammette il concorso con ignoti; nella successiva Pelosi è il solitario omicida).
Sarà un giornalista, Claudio Marincola del “Messaggero” – e non un magistrato – a raccogliere nel 1999 le testimonianze di chi, in quella notte buia e senza luna, nelle baracche all’idroscalo di Ostia ha potuto, se non assistere, almeno ascoltare. Non per caso, nella relazione si sottolinea che sono state alcune inchieste di giornalismo investigativo ad aver «definitivamente sgretolato l’iniziale ipotesi, purtroppo allora sostenuta dai mezzi di comunicazione e da alcune pronunce giurisdizionali, secondo cui l’assassinio dello scrittore sarebbe stato solo il tragico esito di un incontro sessuale sfociato estemporaneamente in una aggressione da parte di un unico individuo e cioè Pino Pelosi». Di confutazione in confutazione la Commissione rileva poi l’assoluta mancanza «di approfondite perizie sulle gravi ferite riportate da Pasolini e sui mezzi con i quali queste erano state inferte».
I Commissari hanno anche affrontato il tema degli «evidenti collegamenti con il mondo della criminalità organizzata romana dell’epoca, ma fondamentalmente in ragione di alcune dichiarazioni rese da Maurizio Abbatino», uno dei capi della Banda della Magliana sentito in «due distinte occasioni». Nulla al momento conosciamo su quanto, al riguardo, può aver ammesso Abbatino, ben riconoscibile, fra l’altro, in una fotografia che lo riprende tra i curiosi accanto al cadavere la mattina dopo il delitto.