La situazione della Città Eterna è allo sbando. Chiunque arriverà in Campidoglio avrà a che fare con mille problemi irrisolti. E non è certo tutta colpa di Virginia Raggi, beninteso. Troppi anni di malgoverno e di compromessi hanno fiaccato la volontà e la resistenza dei romani, ormai delusi e diffidenti.
Roma – I sindaci di Roma non hanno mai espresso una forte classe dirigente nazionale, dal dopoguerra ad oggi. È il destino di una città che concentra tutti i poteri, dal Parlamento al governo alla giustizia, al Vaticano, ai sindacati, corporazioni, logge massoniche e mafie.
Una città che nasce ingovernabile dove vince la divisione, la burocrazia, i sotterfugi.
Le aziende municipalizzate romane sono ingestibili, per l’incontro-scontro di interessi tra le assunzioni per ragioni politiche e sindacali. Le grandi opere sono ferme, quelle edificate parzialmente hanno complete solo le facciate mentre le voragini delle strade, dalle consolari al centro storico, inghiottono passanti, scooter e automobili. Tanto per dirne una ormai diventata un luogo comune.
La programmazione regionale è solo virtuale, con sanità, trasporti, scuole in degrado. Personaggi che stravincerebbero come Giorgia Meloni, si guardano bene dal candidarsi. Preferendo le politiche al Campidoglio. E giustamente. Oggi anche un potere militare con carta bianca sarebbe fatto a pezzi.
Tutti i sindaci sono caduti nelle buche, non solo quelle stradali. I cittadini sono sfiduciati, delusi, senza alcun interesse nelle finte competizioni nelle quali i romani hanno sempre perduto. Da sempre.
Non è un problema di qualità dei candidati. Mancano le basi dei servizi pubblici locali, dell’identità cittadina che possiede la maggior parte dei beni culturali del mondo intero. Tutti i cittadini capitolini potrebbero vivere con redditi svizzeri, con un minimo di valorizzazione turistica e degli altri comparti recettivi. Ma alla classe politica non importa nemmeno questo.
Parlare di Roma oggi e di chi andrà a governarla significa perdere tempo. E farsi il sangue acqua, come si dice.