Il partito di Beppe Grillo è allo sbando. Forse solo un forte intervento di Giuseppe Conte potrebbe evitare il disfacimento di un sogno a cui avevano creduto milioni di italiani poi traditi e presi in giro.
Roma – Guerra aperta per la leadership tra i grillini in cerca di una nuova identità. Insomma ci vuole un capo che sappia riaccendere l’entusiasmo ed il consenso tra la gente. Cosa difficilissima dopo gli “orrori” commessi prima con Salvini e dopo col Pd.
Numerosi rimangono i dissidenti che lasciano il carrozzone dei sogni infranti sugli scogli del “contro la casta” seguito dal “non mi scollo dalla poltrona” nemmeno se mi ammazzano. Ma qui Guareschi non c’entra nulla. C’entrano piuttosto le accuse di tradimento della missione originaria che ha identificato ogni battaglia del passato e che oggi è scomparsa per cedere il passo ad una nuova forma di partito assai tradizionale, sconvolto da mille correnti, lacerato da cento fazioni, annientato dalle fughe verso altri lidi, in cui molti non si riconoscono più.
Insomma è l’ora della resa dei conti. Così il comitato dei probiviri del partito a Cinque Stelle ha deciso di espellere chi, al Senato ed alla Camera, ha votato contro la fiducia a Mario Draghi. 32 voti contrari, comprese le assenze e le astensioni tra Palazzo Madama e Montecitorio.
Alla tenuta degli equilibri interni al Movimento, pressato da forti tensioni intestine, si accompagna la partita, forse ancora più delicata, della consistenza numerica dei gruppi che promette di agitare la navigazione parlamentare del governo Draghi. Non perdendo l’occasione, dopo la frattura fra i Pentastellati, Matteo Salvini ha rivendicato al “centrodestra di governo” lo scettro in Senato, rispetto all’alleanza formata da Pd, M5s e Leu.
Circostanza questa che potrebbe riflettersi nella quota dei sottosegretari spettante al partito del comico genovese. La prova del bicipite è già iniziata e non promette bene nonostante gli intendimenti proclamati di responsabilità perché le provocazioni rimangono forti.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Accantonato per qualche giorno il nodo della scelta del nuovo leader, e in attesa delle mosse di Giuseppe Conte nella possibile funzione di cerniera con la vecchia maggioranza, il problema rimane quello di come superare il gravissimo conflitto interno evitando di frantumare in mille pezzi il Movimento.
Si teme infatti un ulteriore peggioramento della situazione. Tanto da riproporre il tentativo di ricucire il vasto strappo tramite l’intervento dell’ex premier. Infatti rimane l’incognita di una sua lista e di una eventuale nuova formazione politica a sé stante. Così il ruolo di federatore e l’adesione formale al M5S rimangono una prospettiva possibile, potendo anche ripartire da ciò che era stato deciso dagli “Stati Generali” ovvero di creare un direttorio formato da 5 membri come deliberato dagli iscritti.
Intanto governisti e ala dura continuano a farsi guerra sui social. A sorpresa ritorna Alessandro Di Battista, il maggiore oppositore contrario alla linea riaffermata dal fondatore. Tra i ribelli ci sono volti storici del M5S come il presidente dell’Antimafia Nicola Morra (che non vuole un capo che decida per lui ma ragionare con la sua testa, ndr), che per ora glissa ufficialmente sulle intenzioni scissioniste e l’ex ministro Barbara Lezzi.
Vito Crimi risponde con stizza, per non dire con rabbia, specie nei riguardi di “Dibba“: “…Lo statuto è cambiato e lui non è più un capo...”. Intanto Mattia Crucioli, uno dei senatori espulsi, sta lavorando alla creazione di un nuovo gruppo con un “marchio” prestato da Italia dei Valori per la nascita di una nuova compagine politica a Palazzo Madama.
Un’altra battaglia fra i mille rivoli dei 5Stelle potrebbe riguardare la paternità del simbolo del Movimento, tecnicamente nelle mani di Beppe Grillo. Proprio quel contrassegno con le cinque stelle in alto e la dicitura “blogdellestelle.it”, che alle scorse politiche aveva raccolto ben oltre dieci milioni e mezzo di voti.
Siamo sono all’inizio di uno scontro senza quartiere e di un ideale di società che, forse, non era così ambizioso come si credeva, tanto da non riuscire a creare per tempo una “governance politica” riveduta e corretta. Insomma l’inizio della fine? Vedremo fra qualche giorno ma, nel frattempo, per Mario Draghi ancora un fine settimana assai impegnativo.
Entro domani il premier, in Consiglio dei Ministri, dovrà scegliere i sottosegretari. Pardon, dovrà snocciolare pubblicamente la lista già rata e valida che è nella sua mani. Una cosa come 41 incarichi da distribuire tra partiti e tecnici decisa dallo stesso Draghi.
Gli occhi sono puntati su una serie di dicasteri chiave come ministero dell’Economia, Interno, Sviluppo Economico, Lavoro, Salute, Transizione ecologica e Giustizia. Comunque stiano le cose i parlamentari grillini, che scendono da 92 a 77, rimangono ancora il gruppo più consistente ma le aspettative sono state ampiamente ridimensionate. Una quindicina di sottosegretari? Forse.
Poco meno, invece, dovrebbero spettare alla Lega e scendere per il Pd fino a 6 o 7 mentre Forza Italia si attesta a 5 o 6. Due potrebbero andare anche ai renziani ed uno a Leu. Le decisioni sono state prese e ci saranno diverse sorprese per gli italiani, e non è detto che siano tutte buone.
Fuori dai palazzi la pandemia dilaga mentre il piano vaccinale non riesce ancora a raggiungere la velocità di crociera. Preoccupazione tanta, un minimo di soddisfazione nemmeno a parlarne.
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