Ritorna ai domiciliari Franco Muto, uno dei boss più longevi della ‘ndrangheta

Figura dominate della criminalità organizzata del Cosentino, il “re del pesce” aspetterà a casa il nuovo riesame imposto dalla Cassazione.

Cosenza – Franco Muto, noto come il “re del pesce”, ha lasciato il carcere per scontare ai domiciliari la pena residua per associazione mafiosa. L’84enne, figura dominante della criminalità organizzata a Cetraro, nel Cosentino, ha mantenuto per anni un alloggio popolare nonostante le ingenti ricchezze accumulate, come emerso dalle indagini giudiziarie.

La vicenda giudiziaria di Muto ha avuto una svolta nel 2023, quando il boss aveva ottenuto i domiciliari per ragioni di salute e di età avanzata. Tuttavia, la decisione era stata revocata dal Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, portando la difesa a presentare ricorso fino alla Cassazione. La Corte ha recentemente annullato il provvedimento, imponendo un nuovo riesame, con il risultato che Muto è stato autorizzato a tornare ai domiciliari in attesa di una decisione definitiva.

Muto è considerato uno dei boss più longevi della ‘ndrangheta, a capo di un clan relativamente piccolo ma estremamente influente. Le indagini hanno evidenziato come abbia consolidato il suo controllo sul mercato ittico, settore chiave dell’economia locale, per poi estendere la sua influenza al turismo e agli appalti pubblici, grazie a rapporti con imprenditori e politici locali, alcuni dei quali sarebbero stati a libro paga dell’organizzazione criminale.

Un aspetto ancora poco chiaro riguarda il possibile coinvolgimento di Muto nella cosiddetta “‘ndrangheta invisibile”, la struttura di vertice che prende decisioni strategiche per l’intera organizzazione mafiosa calabrese. Secondo le testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, Muto avrebbe partecipato a importanti summit tra i clan calabresi e le famiglie mafiose siciliane, contribuendo a delineare le strategie della criminalità organizzata su scala nazionale e internazionale.

Alcuni pentiti lo hanno anche collegato all’inquietante vicenda delle “navi dei veleni”, imbarcazioni cariche di rifiuti tossici e radioattivi affondate al largo delle coste calabresi, presumibilmente con il supporto di settori deviati dei servizi segreti. Le indagini su questo presunto traffico illegale non hanno mai portato a risultati concreti, spesso ostacolate da errori procedurali e silenzi forzati.

Tra le ombre che avvolgono la storia di Muto vi è anche l’omicidio di Giannino Losardo, funzionario del tribunale di Paola ed ex amministratore comunale di Cetraro. Losardo fu assassinato negli anni Ottanta per la sua battaglia contro le infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici. Prima di morire, riuscì a pronunciare una frase significativa: “Tutta Cetraro sa chi mi ha sparato”. Le indagini dell’epoca indicarono Muto come il principale sospettato del delitto, ma non si arrivò a una condanna.

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