L’Epam di Milano denuncia la mancanza di 10mila lavoratori in questo settore. Galdus “tra un paio d’anni la situazione peggiorerà”.
Roma – Poveri camerieri, denigrati e malpagati! Tra i tanti mesieri che ci sono sulla faccia della terra, spesso utili solo a sbarcare sbarcare il lunario, c’è ne è uno particolarmente duro: il cameriere. Una volta tra le case reali era considerato alla stregua di un “dignitario di corte” specie di quella pontificia, con compiti di particolare riservatezza. Il termine, che si può considerare sinonimo di alto funzionario, si riferisce a titolari di uffici di corte o, comunque, al servizio di un monarca oppure di un ordine cavalleresco.
Oggi, più prosaicamente, per cameriere s’intende la persona addetta a servire i clienti presso un bar, un ristorante, un albergo o, talvolta, in una casa privata. Si tratta di un lavoro durissimo, poco retribuito e con orari della serie “si sa quando s’inizia, ma non quando si finisce”. E poi ci si lamenta che non si trova personale, che i giovani non hanno voglia di lavorare e amenità del genere! Frasi trite e ritrite ripetute da decenni da chi, evidentemente, non ha il polso della situazione generale.
Secondo gli addetti alla formazione, a frenare lo slancio ci sarebbe anche il poco prestigio che avvolge il termine “cameriere”. Beh, in effetti se si pensa alla parola “cuoco”, ci si immagina lo “chef”, una professione molto in auge grazie anche alla sua visibilità dei tanti programmi tv di cucina. Anche la parola “barman” fa figo e viene esibita con orgoglio. Mentre quando si pronuncia la parola “cameriere”, ci si vergogna quasi a pronunciarla. L’ultimo rapporto del novembre scorso, a cura dell’Epam di Milano, l’Associazione Provinciale Milanese Pubblici Esercizi, Organismo di rappresentanza delle imprese di Pubblico di Milano e provincia, ha messo in evidenza che ci sarebbero ben 10mila i lavoratori mancanti nella ristorazione.
E il peggio deve ancora venire. Almeno secondo “Galdus”, tra i più grandi enti lombardi per la Formazione Professionale e l’inserimento lavorativo, che istruisce i futuri cuochi, pasticceri e camerieri. Il calo delle nascite sta mostrando i suoi effetti solo adesso, ma tra un paio anno la situazione si farà ancora più precaria. Molti titolari di locali saranno costretti a chiudere, vittime di un combinato disposto: calo demografico e mancanza di personale. I primi a soccombere saranno coloro che lavorano senza programmazione e con approssimazione. Coloro, al contrario, che investiranno nella formazione, sia datori di lavoro che dipendenti, facendo sentire tutti i partecipi di un unico progetto, avranno molte frecce al proprio arco.
Ad esempio, il cameriere di sala, non sarà solo un portatore di piatti, ma avrà conoscenze sul cibo, vino e un’infarinatura (a proposito di cucina!) sulle neuroscienze. Lo scopo è soddisfare il benessere del cliente, stimolando la giusta miscela di endorfine e avviando un equilibrato meccanismo di appagamento. Uno dei fattori su cui puntano i formatori è la passione, associata alla motivazione per questo lavoro. Se lo si fa, invece, perché non si ha altro da fare nella vita, allora si è fuori strada. Se, comunque, si iniziasse ad aumentare i salari e, soprattutto, a non assumere in nero, forse avremmo imboccato la strada giusta, crisi o non crisi!