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Il Met avvisa: “Nella Turandot stereotipi razziali, non è politically correct”

Il blasonato teatro d’opera della Grande Mela fino al 7 giugno presenta l’ultimo capolavoro di Puccini, “emozionante ma problematico”.

New York – L’Opera che il mondo ci invidia è nell’occhio del ciclone nell’era in cui vorrebbero insegnarci cosa di può dire o non dire. Tanto da mettere in discussione, dall’America, la cultura e la tradizione italiana. La Turandot paga dazio in Usa al ‘politically correct’. L’opera di Puccini è “un capolavoro emozionante ma problematico” e le sue “contraddizioni, distorsioni e i suoi stereotipi razziali” devono essere segnalati, mette in guardia il Metropolitan di New York, che in una nota di programma offre un avvertimento al pubblico in ossequio alla correttezza politica o alla cultura della cancellazione.

Il blasonato teatro d’opera della Grande Mela presenta sino al 7 giugno l’ultimo capolavoro (incompiuto) di Puccini, che racconta l’impossibile storia d’amore di un principe tartaro e della figlia dell’imperatore in una Cina medioevale immaginaria. Ebbene, se per un secolo il pubblico mondiale ha pianto e riso e ha amato la Turandot a prescindere, oggi non è più possibile. Assolutamente inconcepibile in una società che deve includere e non discriminare. Eppure il buon Puccini è il primo a essere discriminato.

Dalla sua prima esibizione nel 1926, pochi mesi dopo la morte del compositore, la Turandot è diventata una delle più conosciute e popolari del XX secolo. “Nessun dorma”, la grande aria del principe Calaf, è subito diventata un successo, un must per tutti i tenori. Ma quasi cento anni dopo la prima, la percezione di questa
opera sta cambiando, come si evince dalla nota di programma rivolta agli spettatori. Se “Turandot” può essere considerata “l’ultima grande opera italiana, questa definizione non tiene conto del fatto che gran parte di essa non è italiana”, scrive Christopher Browner, caporedattore delle pubblicazioni del Metropolitan.

Il Met – New York

“Dall’ambientazione alla trama e, soprattutto, alla maggior parte della musica, Turandot si ispira ad altre
culture.
Ma non è nemmeno autenticamente cinese. Una proiezione occidentale dell’Oriente, è piena di contraddizioni, distorsioni e stereotipi razziali”. Tra le “distorsioni e gli stereotipi” individuati dal Met ci sono i nomi di alcuni personaggi, dalla principessa Liù ai ministri Ping, Pang e Pong, e pure il riutilizzo di melodie tradizionali ri-orchestrate in stile occidentale. Secondo Browner, “non dovrebbe quindi sorprendere che molti spettatori di discendenza cinese trovino difficile assistere all’opera perché la loro eredità viene reclamata, feticizzata o rappresentata come selvaggia, sanguinaria o arretrata”.

Come si può quindi apprezzare Turandot in queste condizioni? Il Met raccomanda: “Mentre aumentiamo la nostra consapevolezza collettiva dei suoi difetti, è essenziale che, anziché evitare gli aspetti meno attraenti dell’opera, in ogni successiva messa in scena il pubblico riconosca e affronti le loro implicazioni”. Questa presa di posizione su “Turandot” riecheggia una recente polemica avvenuta in Inghilterra, su un altro capolavoro operistico di Puccini. La Royal Opera House di Londra è stata costretta a modificare la sua messa in scena di “Madama Butterfly” nel 2022 in modo che fosse “più in linea con il contesto storico della storia”, che si svolge a Nagasaki, Giappone, all’inizio del XX secolo.

All’epoca, Olivier Mears, direttore della Royal Opera House, aveva sottolineato che l’opera, pur essendo un “capolavoro”, era anche “un prodotto del suo tempo”, che richiedeva una serie di adattamenti per essere “fedele allo spirito dell’originale e autentica nella sua rappresentazione del Giappone”. Insomma, non c’è pace per l’Opera e neppure per Giacomo Puccini, che come scrisse abbozzando un altro capolavoro, la Tosca, rispose agli uomini di ieri e di oggi: “Contro tutto e contro tutti fare opera di melodia”.

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