A presentare l’istanza l’avvocato Giuseppe Lipera dopo che la Corte d’Appello di Messina ha detto no alla riapertura, giudicando insufficienti le nuove prove.
Catania – Il caso di Filippo Raciti, ispettore capo di Polizia morto durante gli incidenti scatenati da una frangia di ultras del Catania contro le forze dell’ordine il 2 febbraio 2007, torna alla ribalta della cronaca per la richiesta di revisione del processo dichiarata inammissibile dalla Corte d’appello di Messina. I giudici hanno rigettato il ricorso dichiarando manifestamente infondata la richiesta presentata dall’avvocato Giuseppe Lipera, difensore di Antonino Speziale, che è stato condannato, per omicidio preterintenzionale, reato commesso quando era minorenne, a otto anni e otto mesi di carcere, già scontati. Lipera ora si è opposto alla decisione ricorrendo fino in Cassazione.
Al centro dell’istanza di riapertura del processo c’erano secondo il legale delle nuove prove: due interviste a Le Iene del 2020 che parlano di “fuoco amico”. Il 14 novembre 2012 la Corte di Cassazione aveva confermato le sentenze di appello disposte nei confronti di Speziale e di Daniele Natale Micale, rei di aver colpito mortalmente Raciti con un sottolavello. Le interviste che portano verso altre piste sono state trasmesse il 12 e il 26 novembre del 2020, dalla trasmissione di Italia1, a una donna di 47 anni e un uomo di 45, sentiti da Ismaele La Vardera, oggi deputato regionale in Sicilia. I due hanno sostenuto che Raciti sarebbe stato ferito mortalmente da un Range Rover della Polizia. Ricostruzione di cui si è anche parlato nel processo, ma sempre smentita. La donna, interpretata da un’attrice, ha sostenuto che, in qualità di familiare acquisita della famiglia Raciti aveva partecipato ai funerali e in quell’occasione “aveva udito un poliziotto che avvicinandosi a Nazareno Raciti”, avrebbe “chiesto scusa al padre dell’ispettore perché la morte del figlio era stata causata dalla manovra errata di un collega“. Ha inoltre aggiunto che “aveva capito che Speziale era stato solo un capro espiatorio”.

L’uomo ha invece detto che Nazareno Raciti avrebbe riferito a suo padre di “avere saputo che suo figlio Filippo non era stato ucciso da Speziale, ma da colleghi con un’errata manovra con un’auto di servizio”. Nazareno Raciti, sentito dalla Procura di Catania dopo la messa in onda della trasmissione, ha smentito nettamente, entrambe le ricostruzioni. I due intervistati sono stati poi querelati per diffamazione a mezzo stampa dall’allora capo della polizia, Franco Gabrielli. Processati col rito abbreviato il gup li ha assolti, nel novembre del 2022, con la formula “perché il fatto non sussiste” ma, contesta l’avvocato Lipera, quegli atti non sono stati resi disponibili alla difesa di Speziale.
Ma per la Corte d’Appello “le due interviste, allegate alla richiesta di revisione e risalenti all’anno 2020, non possono ritenersi una ‘prova nuova’ sopravvenuta ‘affidabile’ poiché quanto in esse riferito dai soggetti indicati (rimasti non identificabili nel corso delle interviste stesse, essendo stato il soggetto che ha rilasciato la seconda intervista persino ripreso di spalle incappucciato e con la voce camuffata) – si legge nell’ordinanza – è tutto un “sentito dire”, non essendo nota né conoscibile l’identità del poliziotto che al cimitero si sarebbe scusato con il padre della vittima, non essendo note né conoscibili le modalità con cui questo asserito poliziotto avrebbe appreso le circostanze, non essendo noto né conoscibile se egli fosse stato presente sul posto quella sera, non essendo noto né conoscibile in relazione alla seconda intervista chi avrebbe rivelato al padre della vittima l’asserita verità imponendogli di restare in silenzio“.

E ancora, nell’ordinanza di rigetto della revisione si sottolinea che “per tali ragioni non è possibile attribuire valenza probatoria non solo concreta ma nemmeno astratta al narrato di soggetti, si badi bene, rimasti anonimi in video (e la identificazione dei quali è, pertanto, frutto di ulteriori elementi con il concorso anche di soggetti terzi ed estranei alla vicenda processuale), pur senza considerare che nella stessa intervista del 26 novembre 2020 si afferma che il padre della vittima, convocato dagli inquirenti successivamente alla messa in onda della prima intervista, avrebbe negato di avere mai appreso quanto sopra”. Secondo i giudici con le due interviste si vorrebbe operare, in definitiva, una rivisitazione dei plurimi elementi probatori già dettagliatamente riportati nella sentenza di condanna di secondo grado per evidenziare l’infondatezza dell’ipotesi difensiva dell’investimento da parte di un mezzo della Polizia di Stato, ipotesi che, quindi, è stata già attenzionata nel procedimento” dai magistrati ed “esclusa sulla base di molteplici ed inequivoche emergenze “.
Insomma, si legge ancora nell’ordinanza, i “fatti sopravvenuti (le due interviste) posti a fondamento dell’istanza di revisione non sono immuni da profili di inaffidabilità e non sono dotate, per quanto sopra osservato, di pregnanza dimostrativa particolare tale da scardinare il ragionamento posto a base del
giudicato. Ecco perché la richiesta di revisione “deve ritenersi manifestamente infondata ed in quanto tale
inammissibile“. Ma l’avvocato Lipera sottolineava come emergesse inequivocabilmente – scriveva il penalista nell’istanza di revisione – che le dichiarazioni rilasciate dai due testimoni, assieme alla sentenza della loro assoluzione, rappresentano fatti nuovi e sopravvenuti che, letti congiuntamente agli altri elementi contenuti nel fascicolo di merito, evidenziano come la condanna inflitta a Speziale è ingiusta, in quanto assolutamente innocente ed estraneo alla morte dell’ispettore Raciti”.

L’ipotesi che Raciti fosse stato investito dallo sportello del fuoristrada dei colleghi che si muoveva in retromarcia, e da cui era disceso a causa del denso fumo che aveva invaso il veicolo, fu avvalorata sia dalle dichiarazioni dello stesso autista del mezzo rese davanti alla squadra mobile il 5 febbraio 2007 sia dal ritrovamento da parte dei RIS di Parma di frammenti di vernice di colore azzurro compatibile con i colori del veicolo sulla maschera antigas e sugli scarponi dell’ispettore. Nella richiesta di revisione, l’avvocato Lipera sottolineava che “l’animus che ha ispirato la presente domanda“, muove dall’orientamento delle Sezioni Unite che “hanno più volte ribadito il consolidato principio di diritto che ‘fine primario ed ineludibile del processo penale, anche di revisione, è quello della ricerca della verità‘, attraverso un processo equo, pervenendo all’accertamento dell’effettiva verità storica dei fatti, rimovendo il contrasto tra ‘verità storica’ e ‘verità processuale'”.
L’avvocato Lipera ha presentato ricorso in Cassazione contro la decisione della Corte d’appello. Tra i punti contestati, il penalista ha sottolineato che gli atti relativi al processo per diffamazione a mezzo stampa contro i due intervistati non sarebbero stati resi disponibili alla difesa di Speziale. I due testimoni, querelati dall’allora capo della polizia Franco Gabrielli, erano stati assolti nel novembre 2022 con la formula “perché il fatto non sussiste”. Secondo Lipera, la mancata valutazione di questi atti rappresenterebbe un elemento critico nella decisione della Corte d’appello. “La Corte territoriale – si legge nel ricorso – erra e non motiva nella parte in cui ritiene ‘non affidabili’ le prove nuove proposte da Speziale, riducendole a tutto un ‘sentire dire’ e omettendo la circostanza oltremodo dirimente, che ha visto i signori Iraci e Valastro a seguito
delle dichiarazioni da loro rese al programma televisivo “Le Iene”, imputati ed assolti nell’ambito del processo celeratosi a loro carico, per il reato di cui all’art. 595 co 3 c.p.”.
E ancora, “entrambe le dichiarazioni portano ad un punto: il padre di Raciti – si legge ancora – nella immediatezza dei fatti, riceveva delle informazioni certe e significative da parte di ambienti vicini (o addirittura interni) alla Polizia di Stato, in ordine alle cause che hanno portato alla morte del figlio,
escludendo la responsabilità penale di Speziale”.