Quarant’anni fa Cosa nostra uccideva Pippo Fava, giornalista “contro”

Sulla rivista “I Siciliani” raccontò con grande anticipo l’intreccio criminale tra i boss, la politica e l’imprenditoria che avvelenava l’isola.

Roma – “Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”.

Pensieri e parole di Giuseppe Fava, giornalista ucciso dalla mafia esattamente quarant’anni fa, vergate l’11 ottobre 1981 per spiegare ai lettori, e ribadire al gruppo di giovanissimi cronisti che aveva voluto intorno a sé accettando la direzione del neonato Giornale di Sicilia, quale fosse la direzione che intendeva perseguire. Un manifesto programmatico che si tradusse nella pratica quotidiana di un giornalismo d’inchiesta coraggioso e dalla schiena dritta, che per primo sollevò il velo di omertà sulla collusione tra mafia, politica e imprenditoria nel capoluogo etneo e in tutta la Sicilia. Sequestri, censure e perfino un attentato dinamitardo al quale Fava scampò non servirono a spegnere quella scomoda voce libera che raccontava le relazioni pericolose dei potenti all’ombra dei boss, con tanto di nomi, cognomi e fotografie.

Non potendo tacitarlo, Cosa Nostra il giornale semplicemente se lo comprò, e dopo un anno vissuto pericolosamente Fava fu costretto alle dimissioni. Non al silenzio. Insieme ai suoi collaboratori fondò una cooperativa attraverso la quale poter tornare a fare giornalismo libero. Con pochissimi mezzi, molti debiti ma ancor più idee, nel novembre 1982 Fava e i suoi riuscirono a mandare in edicola il primo numero della rivista “I Siciliani”, un mensile che in breve tempo diventò un punto di riferimento del movimento antimafia. Le pagine della rivista ospitavano inchieste destinate a trasformarsi puntualmente in casi politici e giornalistici, gli articoli denunciavano la presenza costante della mafia. Era stato ancora una volta Fava a dettare la linea, con il suo primo articolo intitolato “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, un’inchiesta nella quale denunciava le attività di quattro imprenditori (Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro), collegandole al clan del boss Nitto Santapaola.

La rivista “I Siciliani” diventa un punto di riferimento del movimento antimafia

Provarono a comprare anche “I Siciliani”, ricevendo però soltanto rifiuti. La rivista si mantenne indipendente e continuò a pubblicare le foto di Santapaola ritratto con politici e imprenditori. Un coraggio e una coerenza che Fava aveva messo in conto di poter un giorno o l’altro pagare con la sua vita: “Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare. Tanto, lo sai come finisce una volta o l’altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa…

Quel giorno arrivò il 5 gennaio 1984: Fava fu assassinato con cinque colpi alla testa mentre era seduto in macchina vicino al Teatro Stabile di Catania. Aveva 59 anni. Era nato a Palazzolo Acreide (Siracusa) il 15 settembre 1925. Durante la guerra si era trasferito a Catania dove si laureò in Giurisprudenza e cominciò a collaborare per diverse testate regionali e nazionali. Nel 1956 venne assunto dall’Espresso sera, di cui fu caporedattore fino al 1980. Fava si cimentò con successo anche nella scrittura di romanzi e pièce teatrali. Dopo aver lasciato L’Espresso, si trasferì a Roma dove condusse una trasmissione radiofonica su Radiorai e scrisse la sceneggiatura di “Palermo or Wolfsburg”, film di Werner Schroeter tratto dal suo romanzo “Passione di Michele”, pellicola che nel 1980 vinse l’Orso d’Oro a Berlino.

Dopo il suo omicidio ci furono numerosi tentativi di sviare le indagini. Si parlò di delitto passionale, di problemi legati alle cattive acque economiche in cui versava la rivista. Le autorità si rifiutarono di organizzare una cerimonia pubblica e disertarono il funerale, fatta eccezione per il questore, il presidente della Regione Sicilia e alcuni esponenti del Partito comunista. C’erano invece i collaboratori di Fava, tanti giovani e operai stretti intorno alla famiglia. Quello che era chiaro fin dall’inizio, nonostante i penosi e pelosi tentativi di negare l’evidenza, e cioè la mano della mafia su quella pistola che aveva ridotto al silenzio un intellettuale e un giornalista ingombrante, venne sancito con i processi e le sentenze degli anni Novanta, che condannarono il boss Nitto Santapaola e Aldo Ercolano come mandanti dell’omicidio.

Giuseppe Fava viene ucciso a Catania il 5 gennaio 1984 con cinque colpi di pistola

Oggi per il quarantesimo anniversario, il giornalista sarà ricordato a Catania davanti alla lapide dove alle 17 si concentrerà il corteo proveniente da via Roma. Oggi quella strada porta il suo nome. Alle 18 al Centro culture contemporanee Zo, in piazzale Rocco Chinnici, si terrà il dibattito col magistrato Sebastiano Ardita, i giornalisti Pierangelo Buttafuoco, Claudio Fava (figlio di Pippo), Michele GambinoFrancesco La Licata. A quest’ultimo, autore di inchieste e articoli sul fenomeno mafioso, verrà consegnato il Premio nazionale di giornalismo intitolato a Fava.

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