Le dichiarazioni da “bar” di un uomo avevano descritto con puntualità e precisione gli eventi omicidiari oltre al movente passionale dell’omicidio. Davanti agli inquirenti il teste aveva poi ritrattato, forse per coprire due giovani intoccabili.
RIETI – Il tassista reatino Carmine Pitoni, 33 anni, sposato con un figlio, venne ritrovato cadavere alla periferia di Leonessa il 25 ottobre del 1959, mentre la sua Fiat 1400 era stata rinvenuta nel capoluogo sabino. Diversi testimoni, interrogati dalla polizia, riferirono di aver visto a bordo del taxi un numero imprecisato di persone, da una a tre. Dalle risultanze investigative si ipotizzò che le persone a bordo del taxi di Pitoni sarebbero state più di una, tanto da avere avuto la possibilità di fermare l’auto, immobilizzare il tassista, sparargli per poi lasciarne il cadavere sul luogo dove veniva ritrovato, in località Forca del Fuscello, sempre nel Reatino.
Successivamente qualcuno o tutti i passeggeri del taxi ritornavano a Rieti parcheggiavano l’auto in viale Morroni, piuttosto distante dalla consueta stazione di sosta in piazza del Comune. Forse chi era alla guida ne aveva approfittato per accompagnare un complice in città? Alcuni testimoni riferivano alla polizia che il taxi in sosta aveva i fari accesi, altre persone attestarono che le chiavi si trovavano nel quadro ma altri ancora dissero di non averle viste.
Dunque perché l’auto era stata abbandonata in quel posto? L’ignoto autista si sarebbe allontanato con un’altra auto o sarebbe rimasto in zona? E poi perché riportare la macchina sino a Rieti correndo il rischio di venire intercettato da qualche pattuglia di polizia o carabinieri? Perché non lasciare il taxi a Forca del Fuscello, zona ben più fuori mano? L’inchiesta, nonostante il congruo numero di persone sentite ma priva di risultanze concrete dovute forse ad una certa superficialità investigativa, si esauriva. Ma c’era molto di più:
” La presenza di una chiazza di sangue sul fondo stradale della via conducente a Leonessa – scrive nella sua tesi la nipote della vittima, Monica Pitoni, psicologa forense – e il riscontro di imbrattamenti di terriccio sulla sommità della spalla sinistra della giacca del Pitoni caratterizzarono il momento in cui, essendo stato aperto lo sportello di sinistra, il corpo del Pitoni si riversò per terra subendo un movimento di torsione del tronco verso sinistra. È verosimile che in seguito a detta caduta le gambe del Pitoni, poggiando con le loro estremità contro la pedaliera, siano state impedite a fuoriuscire all’esterno dalla fiancata sinistra della macchina; per cui l’assassino o chi per esso deve aver afferrato il Pitoni per le spalle e, strisciandolo sul terreno, deve averlo estratto dalla macchina e trasportato sul margine sinistro della strada…Fu sempre durante il trascinamento che si produssero nel Pitoni le escoriazioni poi rilevate nell’autopsia…”.
Dunque l’assassino, che sedeva alla destra del Pitoni, gli sparava dietro l’orecchio destro causando la morte istantanea della vittima che poi veniva presa di peso e trascinata sul selciato dove poi veniva abbandonata. Ma anche questi particolari non sarebbero stati presi nella giusta considerazione:
”In un secondo interrogatorio la vedova di Pitoni – scrive ancora Monica Pitoni – sosteneva che la mattina del 26 Ottobre si sarebbe recata come sempre a fare la spesa in una macelleria e alla domanda del ragazzo di bottega per sapere come andava lei rispose: Che ti devo dire? Oggi sono vedova e senza soldi. Una strana affermazione per una persona che non sa ancora di quello che è accaduto, come disse in precedenza. E se invece avesse saputo come si riesce a fare le cose che si fanno normalmente dopo una notizia del genere?”.
E che dire della “confessione in pubblico” di tale Domenico Rossi dopo tre anni dall’omicidio? Le affermazioni di Rossi furono molto chiare e assai particolareggiate – si legge negli atti giudiziari – e fornivano informazioni sul movente passionale del delitto e non solo. Rossi avrebbe detto davanti a testimoni poi identificati che, grazie alla confidenza del figlio di un noto avvocato di Rieti, a volere la morte del tassista sarebbe stato l’amante della moglie e gli assassini, una volta tornati indietro, si sarebbero nascosti presso una locanda davanti alla quale avevano posteggiato il taxi della vittima. Perché le indagini non giunsero ad una svolta? L’inchiesta veniva definitivamente archiviata nel 1962.
(seconda ed ultima parte)