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Prove tecniche di dialogo per le riforme

Resta un miraggio l’accordo tra maggioranza e opposizione sulle riforme che ha in testa il Governo Meloni. Netto l’antagonismo del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle, che hanno posizioni radicalmente diverse. Renzi sguscia verso la maggioranza?

Roma – Il tavolo sulle riforme tra maggioranza e opposizione era già morto prima ancora di nascere. Alla vigilia dell’atteso incontro tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein, dal Partito Democratico, infatti, era evidente il no sia all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, ma anche all’elezione diretta del Premier. Così è stato. La posizione del Pd è quella del cancellierato tedesco, con un pacchetto di norme che comprende anche la sfiducia costruttiva.

La verità è che i Dem temono che il tavolo delle riforme sia solo una operazione di distrazione di massa da parte della maggioranza per nascondere le proprie difficoltà. Questa è almeno la narrazione corrente. Insomma, vi è scetticismo anche per avviare una discussione sul futuro modello costituzionale. D’altronde le novità hanno sempre spaventato e irrigidito le posizioni. Eppure, il riformismo, quando è nel dna di un partito, dovrebbe portare altrove e avere prospettive più dinamiche ed attuali, a differenza dei conservatori. Ma il mondo è cambiato ed anche le classificazioni stanno, forse, cambiando.

Schlein e il PD rimangono dubbiosi sulle reali intenzioni del Governo.

Questo dicono i fatti, anche se giustificate ed edulcorate da ragionamenti di chiusura a certe forme democratiche. Ogni partito di maggioranza e di opposizione predilige un sistema costituzionale, speriamo solo che la condivisione delle idee porti il Parlamento a operare al meglio. In caso contrario la parola passerà ai cittadini, con il referendum. In ogni caso, aprire il tavolo delle riforme con gli incontri a Montecitorio è stata una proposta opportuna, sia per compattare la maggioranza, che per fare esplodere le contraddizioni delle opposizioni. L’idea è quella di dare potere di decisione ai cittadini e lasciare che sia il popolo a scegliere chi governa, come accade nelle principali democrazie mondiali. Proposta aperta sia al presidenzialismo, o semipresidenzialismo, sia al premierato.

Ma mentre Azione e Italia Viva, ex Terzo Polo, entrano nel merito e dicono sì all’elezione del presidente del Consiglio e non del presidente della Repubblica, dal Partito Democratico, invece, così come dal Movimento 5 Stelle arriva un incomprensibile no pregiudiziale. No e basta, solo perché è la destra che propone le riforme istituzionali. Ma forse al Nazareno dimenticano, come ha spiegato anche il ministro Roberto Calderoli, che gli italiani hanno votato e scelto il centrodestra con un programma che prevedeva anche le riforme costituzionali. E Meloni sta agendo di conseguenza e in modo del tutto coerente. Dal Pd nessuna apertura a un confronto. Forse dietro questo rifiuto in realtà si nasconde il sogno, che potrebbe trasformarsi in incubo, di sconfiggere Meloni nel 2025 al referendum confermativo.

Un calcolo politico che, considerati i circa due anni che servono per il doppio passaggio parlamentare, potrebbe indebolire l’esecutivo Meloni. Per essere ancora più chiari, Schlein spera di far cadere Meloni due anni prima come accadde con Matteo Renzi alla fine del 2016 quando la sua riforma costituzionale fu sonoramente bocciata dagli italiani. Ecco perché si ritiene che il Pd coltivi la speranza del logoramento, certamente non diffuso da alcuna dichiarazione ufficiale, ma solo balbettato da qualche frase appena sussurrata e rievocativa della fine di Renzi. Italia Viva, stavolta, pare schiacci l’occhio al centrodestra: vero o falso?

Giorgia Meloni gode ancora di largo consenso.

Eppure, dopo il 2016, furono in tanti ad ammettere che la battaglia intrapresa da quasi tutti i partiti, Pd compreso, fu di regolare i conti con un invadente leader che stava innovando politica e istituzioni. A quel tempo con il referendum, semplificando, si voleva abolire il Senato. Ma si alzarono gli scudi protettivi ed è storia recente la diminuzione del numero dei parlamentari approvata dal precedente esecutivo che andava in quella direzione tracciata proprio da Renzi. Necessaria, dunque, maggiore sensibilità, apertura al futuro e capacità istituzionale. Bandite le tattiche di distruzione interna.

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