Si è svolto il primo dibattito sul caso dei ricorsi di due richiedenti asilo. Al centro delle discussioni, la designazione di Paese sicuro.
Roma – Il caso Albania e il relativo protocollo sui migranti continuano ad animare il dibattito politico. C’è stata infatti la prima udienza presso la Corte di Giustizia dell’Unione europea nel Lussemburgo, sul caso dei ricorsi di due richiedenti asilo contro il protocollo Italia-Albania. Al centro delle discussioni, la designazione di Paese sicuro e l’applicazione della procedura accelerata per l’esame delle richieste d’asilo. Gli avvocati della difesa dei ricorrenti hanno ribadito che l’articolo 46 della direttiva 2013/32 sui Paesi sicuri impone ai singoli giudici di ogni nazione di garantire un ricorso effettivo attraverso un esame completo degli elementi di fatto.
Il riferimento è stato più volte alla sentenza del 4 ottobre 2024 nella causa C-406/22 che ha fatto luce sull’importanza di valutare in maniera quanto più completa possibile le procedure di protezione internazionale, compresa anche la designazione di un Paese terzo come sicuro. Secondo l’avvocata Sonia Angilletta, “l’unico strumento idoneo a garantire la certezza del diritto è quello di limitare la designazione di un Paese di origine sicuro ai casi in cui le condizioni previste dall’Allegato 1 della Direttiva siano soddisfatte per tutto il territorio dello Stato e per tutte le categorie di persone presenti”.

L’allegato 1, nel dettaglio, stabilisce che “un Paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95, nè tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, nè pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. La sentenza, essendoci una procedura accelerata, dovrebbe arrivare prima dell’estate.
L’avvocata della Commissione europea, Flavia Tomat, ha invece ribadito che la direttiva 2013/32 lascia un margine di valutazione agli Stati membri, ma questi devono rispettare le condizioni stabilite dall’Allegato 1. “Un Paese può essere designato come sicuro solo se non vi sono persecuzioni generalmente e costantemente”, ha dichiarato. Però, la Commissione ha riconosciuto che la direttiva non esclude la possibilità di prevedere eccezioni per determinate categorie di persone. “Quello che conta è che tali categorie siano chiaramente identificate e che il diritto a un ricorso effettivo venga garantito”, ha spiegato.

“Gli Stati membri devono garantire che le eccezioni previste coprano adeguatamente questi gruppi vulnerabili”, ha affermato. La Commissione – ha concluso – “è disposta ad accettare che la direttiva 2013/32 consenta agli Stati membri di disegnare Paesi di origine come sicuri, prevedendo delle eccezioni tra categorie di persone”. Da parte dell’avvocato generale della Corte dell’Ue, Richard de la Tour, è atteso un parere il 10 aprile. Le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia anche se generalmente la indirizza.
“Il governo è determinato a portare avanti il protocollo Italia-Albania: siamo determinati a trovare una soluzione ad ogni ostacolo che appare”, ha affermato più volte la premier Giorgia Meloni. Si andrà avanti “non solo perché crediamo nel protocollo ma anche perché rivendichiamo il diritto della politica di governare e il dovere della politica di assumersi le responsabilità” e “sui flussi migratori l’indicazione dalla maggioranza dei cittadini molto chiara: ci chiedono di fermare immigrazione illegale che produce insicurezza mancata integrazione e prima nemica immigrazione illegale”.

Meloni ha inoltre sottolineato che “sarà importante fare chiarezza” sulle norme sui Paesi sicuri “e che la Corte di giustizia europea scongiuri il rischio di compromettere le politiche di rimpatrio non solo dell’Italia ma di tutti gli stati membri dell’Unione europea”. Dire che “appare fragile” l’argomentazione “della supremazia della normativa europea rispetto a quella italiana in base alla quale si disapplicherebbe la normativa italiana sui paesi sicuri” visto che la Germania “rimpatria in Afghanistan senza che questo dai giudici tedeschi sia considerato in contrasto con la normativa europea”, ha aggiunto. La premier ha anche sottolineato l’importanza di un’azione coordinata tra tutti gli attori istituzionali, sottolineando come i risultati ottenuti anche a livello europeo sulla gestione dei migranti irregolari siano stati possibili “anche per il gioco di squadra che siamo stati capaci di fare a livello tecnico e politico, grazie al vostro contributo perché senza l’indirizzo politico di un governo è condannato a essere lettera morta”.
La Corte d’Appello di Roma – Sezione Persona, Famiglia, Minorenni e Protezione Internazionale -, nei mesi scorsi ha sospeso il giudizio di convalida dei trattenimenti dei 43 migranti portati in Albania. La Corte, inoltre, ha rimesso “gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi degli artt. 267 TFUE, 105 e ss. del Regolamento di procedura e 23 bis dello Statuto della Corte”, si legge nelle 25 pagine di sentenza. I migranti, rimasti nel centro di permanenza per il rimpatrio di Gjader, provenienti da Bangladesh ed Egitto, avevano fatto domanda di asilo.