La protezione per l’ex presidente del Parco dei Nebrodi verrà innalzata al massimo livello. Cosa nostra non gli perdona il protocollo da lui ideato e divenuto legge nel 2017. Dalla galera di massima sicurezza le minacce di morte.
Messina – Nuove minacce di morte della mafia contro Giuseppe Antoci, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi che si è battuto contro le truffe sui fondi Ue controllate dalla criminalità e che nel 2016 sfuggì a un attentato in Sicilia. A parlare della volontà di uccidere Antoci, come risulta da intercettazioni della Dda di Messina, è Francesco Conti Mica, 39 anni, di Tortorici, arrestato ai primi di dicembre per estorsione aggravata dal metodo mafioso.
A infastidire non poco la mafia è stato il Protocollo Antoci. Un atto voluto dall’allora presidente del Parco dei Nebrodi nel 2015 e diventato legge nel 2017. Un provvedimento che ha reso più stringente in termini di certificazioni antimafia usufruire di terreni agricoli che godono di fondi europei e che ha inferto un colpo mortale agli affari illegali della mafia dei pascoli. In Sicilia e in altre regioni. Giuseppe Antoci, oggi presidente onorario della Fondazione Antonino Caponnetto, è di conseguenza finito sul libro nero di “cosa nostra”, ovvero un soggetto da eliminare. Un tentativo in tal senso è stato già fatto il 18 maggio 2016, con un attentato sventato dalla sua scorta.
Evidentemente però la mafia vuole riprovarci, stando ad alcune intercettazioni di dialoghi tra boss infatti emerge la mai sopita volontà di uccidere Giuseppe Antoci. Nelle scorse settimane il Comitato per l’ordine e la sicurezza ha innalzato ai massimi livelli la sua scorta. Per intenderci, a “godere” di tale protezione in Italia sono 5 persone.
Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip di Messina Simona Finocchiaro ed eseguita dai carabinieri, Conti Mica si qualifica, parlando con la vittima, come appartenente al clan mafioso dei Batanesi, che prende il nome da una delle borgate di Tortorici, Batana, e per intimidirla ulteriormente sottolinea che sua madre è una Bontempo Scavo, altra famiglia di mafia dei Nebrodi.
L’indagato sostiene anche di essere in contatto con suoi parenti, detenuti in regime di 41 bis perché coinvolti nel processo “Nebrodi“, nato anche dalle denunce di Antoci: “Comunico con persone che sono in galera“, afferma, e aggiunge: “A Peppe Antoci non l’hanno voluto ammazzare, però quando escono i miei parenti dal 41 bis lo ammazzano“.