Adilma Pereira Carneiro indicata in aula come la mente dell’omicidio del compagno, un piano orchestrato per mettere le mani sull’eredità.
Busto Arsizio (Varese) – Si aggrava la posizione di Adilma Pereira Carneiro, 49enne brasiliana soprannominata la “Mantide di Parabiago”, nel processo per l’omicidio del compagno Fabio Ravasio, travolto e ucciso il 9 agosto 2024 mentre pedalava in bicicletta a Parabiago, nel Milanese. Davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio, presieduta dal giudice Giuseppe Fazio, altri due coimputati hanno puntato il dito contro di lei, definendola la mente di un piano omicida orchestrato per mettere le mani sull’eredità della vittima. La donna, che si proclama innocente, è imputata insieme a sette presunti complici in un caso che mescola avidità, manipolazione e un’esecuzione mascherata da incidente.
Fabio Ravasio, 52 anni, è morto la sera del 9 agosto scorso, investito da un’Opel Corsa nera lungo la provinciale 149 a Parabiago. Quello che sembrava un tragico incidente causato da un pirata della strada si è rivelato un omicidio premeditato, secondo la Procura di Busto Arsizio. Al centro delle accuse c’è Adilma Pereira Carneiro, compagna della vittima, che avrebbe architettato il delitto per incassare un patrimonio stimato in circa 3 milioni di euro, tra beni immobili e attività commerciali.
L’accusa sostiene che la 49enne abbia convinto sette complici – tra cui il figlio Igor Benedito, il marito legale Marcello Trifone e l’amante Massimo Ferretti – a simulare un investimento accidentale. L’auto, intestata alla stessa Carneiro, è stata rimessa in funzione dal meccanico Fabio Oliva e guidata da Benedito, che avrebbe indossato una parrucca per non essere riconosciuto. Il piano, studiato per mesi con sopralluoghi e riunioni, prevedeva che i complici presidiassero la strada per garantire il successo dell’agguato.
Oggi due degli imputati hanno rotto il silenzio, scaricando ogni responsabilità sulla “Mantide”. Fabio Oliva, il meccanico che ha riparato l’Opel Corsa, ha dichiarato in aula: “Adilma mi disse che serviva per uccidere Ravasio. Non credevo fosse vero finché non è successo.” Mirko Piazza, incaricato di fare da palo, ha aggiunto: “Il 9 agosto mi confermò che era il giorno giusto. Lo aveva deciso lei con un rito.” Entrambi hanno chiesto perdono alla famiglia della vittima, ribadendo che la Carneiro li avrebbe manipolati con promesse di denaro e immobili.
Queste testimonianze si aggiungono alle confessioni precedenti di Massimo Ferretti e Fabio Lavezzo, che già avevano indicato la 49enne come la regista del delitto. Un effetto domino che sembra stringere il cerchio attorno alla donna, la cui capacità di persuasione emerge come un tratto dominante nelle ricostruzioni degli inquirenti.
Adilma Pereira Carneiro, assistita dall’avvocato Edoardo Rossi, continua a respingere le accuse, sostenendo che il vero ideatore sia Ferretti. “La mia cliente è estranea ai fatti,” ha dichiarato il legale, lasciando intravedere una strategia difensiva basata sul ribaltamento delle responsabilità. Sullo sfondo, restano i sospetti sulle morti di due ex mariti della donna – uno assassinato in Brasile, l’altro deceduto per infarto a Sedriano – su cui la Procura sta indagando per possibili collegamenti.
La Corte ha ammesso come parti civili i genitori di Ravasio, Annamaria Trentarossi e Mario Ravasio, rappresentati dagli avvocati Barbara D’Ottavio e Francesco Arnone, e il cugino Giuseppe Ravasio. Intanto, è stata disposta una perizia psichiatrica per Igor Benedito e Marcello Trifone, per valutare il loro grado di consapevolezza nel piano.
La prossima udienza, fissata per il 24 aprile, promette nuovi sviluppi, mentre la Corte si prepara a vagliare le prove di un caso che mescola cupidigia, tradimento e una rete di complici caduti nella tela di Adilma Pereira Carneiro.Monza –