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Primo traguardo per l’autonomia, ma si apre il fronte del referendum abrogativo

Rush finale in Senato, tra le contestazioni, del ddl che vuole dare attuazione alla riforma del Titolo V. I Lep sul ‘banco degli imputati’.

Roma – Il rush finale per il primo via libera, in Senato, alla riforma dell’autonomia differenziata è stato come prevedibile molto agitato. Contro il ‘caterpillar’ Roberto Calderoli, che tanto ha lottato per portare a termine un’obiettivo che la Lega persegue da decenni, la rivolta delle opposizioni è stata acerrima, guidata dallo slogan ‘No alla legge che spacca l’Italia’. Ma il ministro per gli affari regionali e le autonomie, come del resto la maggioranza, hanno tirato dritto. Calderoli ha parlato di un ‘passo avanti verso un risultato storico’. Il ddl ha avuto il via libera con 110 sì, 64 no e tre astenuti. Ora passa alla Camera.

E allora, tra le contestazioni di piazza e di Aula, ecco servito il ddl che vuole dare attuazione a quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione ai sensi del quale, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata, possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario, che ne facciano richiesta, forme e condizioni particolari di autonomia in 23 materie.

Si tratta dunque di una legge puramente procedurale per attuare la riforma del Titolo V della Costituzione messa in campo nel 2001: definisce procedure legislative e amministrative da seguire per giungere ad una intesa tra lo Stato e le Regioni che chiedono l’autonomia differenziata. Si va dalla Salute all’Istruzione, dallo Sport all’Ambiente, passando per Energia, Trasporti, Cultura e Commercio Estero.

Il ministro Calderoli

La battaglia tra maggioranza e opposizione, ca va sans dire, è appena cominciata e ora potrebbe prendere una piega molto precisa, quella del referendum abrogativo. Perché dopo il via libera del Senato è quasi certo che l’autonomia passerà alla Camera senza sorprese o grandi modifiche al testo. “Questa discussione non finisce in Parlamento ma proseguirà nelle piazze d’Italia e le forze di opposizione devono lavorare per presentare un referendum abrogativo, per dare ai cittadini la possibilità di bocciare questa sciagurata riforma”, ha dichiarato in Aula a Palazzo Madama il senatore dell’Alleanza Verdi e Sinistra Peppe De Cristofaro, presidente del gruppo Misto.

Oltre al fronte referendario del no, molti personaggi di rilievo sono intervenuti per mostrare i loro dubbi sui prodigi dell’autonomia. L’ex presidente della Consulta Ugo De Siervo ha parlato del provvedimento come di “una riforma parziale e impugnabile davanti alla Corte, in cui a perdere sono solo gli italiani”.

“Una riforma solo parziale – ha aggiunto il costituzionalista – che amplia la possibilità di estendere i poteri di alcune Regioni, ma senza modificare le altre norme costituzionali che già esistono”. E fa un esempio ‘concreto’. “Se dò più poteri a una Regione in materia di sanità – dice – questa dovrebbe poter adottare una sua legge in quel settore. Ma se la adotta modifica tutta la legislazione nazionale, a meno di frantumare l’intero sistema regionale italiano”.

Il costituzionalista Ugo De Siervo

E alla domanda se questo violi l’attuale assetto costituzionale unitario, risponde:

Sì, voglio dire proprio questo. Perché da una modifica in apparenza solo amministrativa ne derivano delle conseguenze anche sull’intera legislazione nazionale. Ma questo non è né previsto, né disciplinato dall’articolo 117 della Costituzione, che ovviamente è già in vigore“.

L’obiettivo finale è comunque che l’autonomia differenziata venga approvata in via definitiva prima dell’appuntamento delle europee del 9 giugno. Intanto, il primo tassello all’iter parlamentare è stato messo. Tra le polemiche. A infiammare il dibattito i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e l’effettività dei diritti su tutto il territorio nazionale. Nei diversi passaggi in Commissione Affari costituzionali se ne è molto discusso ed è stata inserita, nel passaggio “diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, la parola “equamente” dopo “garantiti”, ed è stato introdotto, ai fini della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, il riferimento all’articolo 119 della Costituzione.

Le funzioni autonome potranno dunque essere attribuite solo dopo aver determinato i Lep in maniera uniforme in tutto il territorio, dalla Val d’Aosta alla Sicilia. Inoltre, per evitare squilibri economici fra le regioni che aderiscono all’autonomia e quelle che non lo fanno, il disegno di legge pensa a misure perequative. La contestazione maggiore infatti è che si assista a una ‘secessione dei ricchi’. In questo senso si è mosso l’emendamento voluto da Fratelli d’Italia e approvato in commissione Affari Costituzionali – ribattezzato l’emendamento ‘cacciavite’ – che prevede che si stanzino risorse per garantire i Lep alle Regioni che non chiedono l’autonomia.

Il rischio attuale è infatti che le amministrazioni più ricche sul piano economico portino via dal bilancio dello Stato le competenze principali, come Sanità e tasse collegate, lasciando le briciole per chi resta con le competenze nazionali. L’emendamento voleva riequilibrare questo rischio, ma su richiesta del ministro Giancarlo Giorgetti al testo è stato aggiunto che i finanziamenti saranno dati ‘ad invarianza di bilancio’ nazionale, ossia senza aprire nuovi capitoli di spesa.

Restano quindi dubbi su come finanziare questo eventuale riequilibrio. “Una delega in bianco”, ha detto in Aula il senatore di Azione Marco Lombardo quando ha annunciato l’astensione dal voto del partito, “avremmo votato a favore se i Lep fossero stati finanziati prima e adeguatamente, ma non ci fidiamo delle buone intenzioni”. Azione però non ha votato contro: “Non crediamo che il principio dell’autonomia sia divisivo, come se l’Italia non fosse già divisa”.

La replica di Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega, non si è fatta attendere e ha chiuso questa prima battaglia sull’autonomia, ma non la guerra, visti i venti che soffiano sul referendum. “Spacca paese, la secessione dei ricchi, l’aumento dei divari. Dalle opposizioni – ha concluso – assistiamo alla solita retorica quando invece sarebbe servita maggiore maturità. Abbiamo sentito solo processi alle intenzioni, ma il ‘divide et impera’ è stato sempre l’espediente romano per far sì che il Nord non potesse correre, il Sud non potesse crescere e il potere rimanesse sempre a livello centrale“.

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