I discepoli di una pseudo congrega religiosa, disconosciuta dal Vaticano, avrebbero abusato di ragazzini per anni. Indagini in corso
PRATO – Otto anni di violenze sessuali in danno di due fratelli minorenni tra le mura di una chiesa e di un eremo. I presunti orchi sarebbero undici religiosi, alcuni già sacerdoti, accusati di pedofilia. Gli incontri a luci rosse si sarebbero consumati presso la sede di Prato della comunità religiosa “I Discepoli dell’Annunciazione” ubicata in via Bologna 68/2 e all’interno dell’eremo di Calomini, in provincia di Lucca. La procura di Prato ha iscritto nel registro degli indagati anche il fondatore della “strana” congregazione, tale don Giglio Gilioli, 73 anni, sacerdote veronese trasferitosi a Prato da oltre dieci anni con l’intenzione di creare una comunità con specifici interessi solidali e di assistenza ai giovani poi mai raggiunti. Il prete, da Prato, si sarebbe trasferito ad Aulla, in provincia di Massa e Carrara, dove avrebbe aperto un’altra sede della congrega attigua al tempio Votivo dei Caduti in località Groppino dove risiedevano i frati cappuccini.
Pare che lo stesso don Giglio ed altri suoi seguaci abbiano aperto una sede anche a Fatima. Comunque stiano le cose i pubblici ministeri Laura Canovai e Valentina Cosci hanno fatto scattare diverse perquisizioni, espletate dalla squadra Mobile di Prato, presso le abitazioni degli 11 indagati e in tutte le sedi della ex comunità religiosa perché, secondo gli inquirenti, insiste il fondato motivo di ritenere che gli indagati possano nascondere in casa o negli uffici documenti cartacei e informatici, comprese registrazioni audio e video, relativi agli episodi di stupro. Il congruo materiale sequestrato è adesso al vaglio dei tecnici informatici della procura toscana. Gli investigatori ipotizzano altresì l’esistenza di altre giovani vittime oltre ai due fratelli da cui è partita l’indagine e affinché sia possibile la loro identificazione ogni indizio assume importanza rilevante.
Don Giglio Gilioli si era trasferito Prato nel 2005 e aveva fondato la citata comunità religiosa che aveva ricevuto la prima visita canonica nel 2013. Nel 2018 ne seguiva una seconda ma nessuna delle due ispezioni aveva dato esito positivo insistendo diverse criticità nella gestione “chiacchierata” della congregazione per altro mai sanate.
Di fronte al perdurare delle inadempienze, le autorità vaticane, nel dicembre scorso, avevano contestato a don Giglio diversi limiti nel reclutamento e nella formazione dei membri aggravate da un’ulteriore riduzione numerica degli adepti, da atteggiamenti di diffidenza e di distacco nei confronti dell’autorità diocesana e da forti perplessità sullo stile di governo del fondatore e sulla sua idoneità nel ricoprire tale ruolo. Per questi motivi la Santa Sede dava il benservito alla confraternita che avrebbe dovuto essere sciolta subito. Per tutti e nove gli indagati l’accusa è di violenza sessuale di gruppo poiché, almeno in un caso, i nove presunti pedofili avrebbero approfittato tutti insieme di un ragazzino di appena 14 anni.
Due dei nove indagati sono stati dapprima accolti nella diocesi di Prato dopo il veto vaticano. Si tratta di due preti stranieri di cui uno residente nel suo paese d’origine e l’altro poi allontanato dalla città per disposizione del vescovo monsignor Giovanni Nerbini. Il sacerdote fedelissimo di don Giglio, invece, si trova con il suo capo e con altri due religiosi presso una casa di accoglienza dopo il nulla osta della Curia pratese. Gli ultimi due indagati, da tempo non più appartenenti alla congrega, rimangono a disposizione dell’autorità giudiziaria in altra regione:
”…Siamo nella fase iniziale delle indagini che si basano solo su un dispositivo dichiarativo – ha detto il procuratore Giuseppe Nicolosi alla stampa – non abbiamo certezze e stiamo cercando di approfondire…”.
La Curia di Prato aveva avviato un processo amministrativo penale canonico nei riguardi di don Giglio e confratelli i cui documenti sono stati consegnati agli inquirenti:
”…Non nascondo il mio dolore e la mia viva preoccupazione – aggiunge monsignor Nerbini – e vorrei sperare che gli addebiti mossi non risultino veri, ma voglio chiaramente dire che il primo interesse della Chiesa è quello della ricerca della verità. Per questo auspico che la magistratura, nell’interesse di tutti, possa portare quanto prima a termine le indagini…”.
Nel frattempo non si fermano le attività investigative. Pare che gli ultimi due indagati, in ordine di tempo, avrebbero usato violenza nei riguardi di un altro bambino. Le vittime, ascoltate dagli inquirenti assieme a psicologi ed esperti, continuano ad accusare persone bene identificabili raccontando fatti e circostanze che verranno attentamente verificati dagli inquirenti.