“Possibili emendamenti sugli stipendi dei medici”: la mossa di Schillaci

È guerra di cifre sullo sciopero di mercoledì: per i sindacati l’85% di adesioni, mentre il ministro della Salute parla solo dell’1%.

Roma – Dopo lo sciopero dei medici di ieri, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ipotizza emendamenti sugli stipendi. “Ci sono proposte emendative all’attenzione della Commissione Bilancio della Camera – ha detto nel corso di un’intervista trasmessa nell’ambito dell’Healthcare Summit 2024 del “Sole 24 Ore” -. Per esempio proposte per aumentare l’indennità della specificità di chi lavora nel servizio sanitario pubblico e anche, eventualmente, di defiscalizzare questa voce stipendiale”. Sullo sciopero Schillaci ha detto di rispettare le manifestazioni ma ha aggiunto che “bisogna ricordare che questo governo si è occupato del personale sanitario e lo ha sempre messo al centro dell’agenda politica”.

Gli stipendi dei medici italiani sono tra i più bassi in Europa, a cominciare soprattutto dai giovani specializzandi che risultano al quint’ultimo posto come indica uno studio della Federazione europea dei medici salariati (Fems) che considera i dati su 21 paesi Ue. Siamo sotto la metà classifica anche per i medici già in carriera, mentre va un po’ meglio nel confronto europeo solo per i dottori con 25 anni di lavoro alle spalle. Per i sindacati serve dunque “un cambio di rotta immediato” e per questo è stato confermato ed è andato in scena lo sciopero del 20 novembre proclamato subito dopo il varo della manovra. Tra i principali motivi della protesta dei camici bianchi, come sottolineato Anaao Assomed e Cimo-Fesmed e gli infermieri ed altre professioni sanitarie del Nursing Up, i contratti di lavoro, compresi quelli dell’ospedalità privata, a cui “vengono assegnate risorse assolutamente insufficienti”.

Il ministro della Salute Schillaci

Ma anche mancata detassazione di una parte della retribuzione; mancata attuazione della normativa sulla depenalizzazione dell’atto medico e sanitario; esiguo ed intempestivo incremento dell’indennità di specificità infermieristica, senza estensione alle ostetriche. In piazza anche per protestare contro l’assenza di risorse per l’immediata assunzione di personale; la mancata introduzione di norme che impegnino i ministeri competenti all’immediata attivazione di Presidi di Pubblica Sicurezza negli ospedali italiani al fine di renderli luoghi sicuri per il personale che vi opera; mancata riforma delle cure ospedaliere e territoriali; mancata contrattualizzazione degli specializzandi di area medica e sanitaria, e mancata previsione di retribuzione anche per quelli di area non medica. Inoltre l’ammissione ai benefici per il riconoscimento del lavoro usurante e la richiesta di sospensione per la figura dell’assistente infermiere e infine concreta abolizione del vincolo di esclusività per gli infermieri ed i professionisti sanitari ex legge n 43/2006.

Tra il ministro e i sindacati è guerra di cifre sulle adesioni alla protesta: per i sindacati c’è stata un’adesione dell’85%, ma il ministro Schillaci dice che non è così. “I numeri pubblicati sul sito del Dipartimento della funzione pubblica indicano un’adesione esigua, poco al di sopra dell’1%, allo sciopero. Percentuale lontana da quella dichiarata dalle organizzazioni e che peraltro è in linea con quella dello sciopero indetto lo scorso anno, dalle stesse sigle, che si è fermato a un’adesione del 3%”. Il titolare del dicastero della Salute parla poi dei decreti attuativi relativi alle liste d’attesa: “sono in fase di lavorazione avanzata, alcuni già inviati alle Regioni. Chi critica la misura dicendo che non ci sono i fondi, non ricorda che non c’era neanche uno strumento per sapere quali erano i settori in sofferenza mentre da febbraio partirà la piattaforma per un monitoraggio continuo e i cittadini sapranno i tempi veri delle prestazioni”.

La questione liste d’attesa

Per ridurre le liste d’attesa, occorre “un gioco di squadra: i Cup devono essere unici, anche per il privato accreditato e il cittadino non deve pagare un euro in più di quanto dovuto”. Intanto, un emendamento dei relatori presentato al decreto legge fisco all’esame della commissione Bilancio in Senato, prevede che le risorse erogate alle Regioni per fronteggiare l’emergenza Covid nel 2020 e 2021 possono essere utilizzate entro il 31 dicembre 2025 per garantire l’attuazione dei piani di recupero per le liste d’attesa, attraverso il ricorso alle prestazioni aggiuntive e ai privati accreditati. E ancora, dall’analisi sulla riduzione delle liste di attesa relative alle prestazioni sanitarie non erogate nel periodo di emergenza epidemiologica da covid-19 che la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti ha approvato con delibera n.90/2024/G, emergono delle problematiche.

Il controllo sull’attuazione delle misure assunte durante l’emergenza pandemica, con oltre 2
miliardi di euro stanziati per la riduzione delle liste d’attesa tra il 2020 e il 2024, ha evidenziato criticità
nella metodologia adottata, basata su dati autocertificati da parte di Regioni e Province autonome che appaiono non omogenei, stante il mancato utilizzo di flussi informativi nazionali e di sistemi informativi strutturati, allo stato non disponibili.

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