Il 1° maggio 1947 gli uomini del bandito Salvatore Giuliano aprirono il fuoco sui contadini che celebravano la festa dei lavoratori. La commemorazione dell’eccidio con Schlein e Conte.
Palermo – Il 1° maggio 1947 a Portella della Ginestra era un giorno di festa. Finita la guerra, finito il Fascismo, gli abitanti di quel lembo di entroterra montano tra Piana degli Albanesi e San Giuseppe Iato – circa duemila persone, per la gran parte contadini con le loro famiglie – si erano radunati per celebrare la Festa dei Lavoratori, tornata al suo posto dopo lo spostamento, durante il regime, al 21 aprile, il Natale di Roma. Quel giorno i braccianti si incontravano per festeggiare la vittoria, poche settimane prima, del Blocco del Popolo, l’alleanza tra i socialisti di Nenni e i comunisti di Togliatti alle elezioni dell’assemblea regionale siciliana, nelle quali la coalizione PSI-PCI aveva conquistato 29 rappresentanti su 90 (con il 32% circa dei voti) contro i 21 della DC, che era crollata al 20% circa.
Ma l’occasione era buona anche per far sentire la propria voce contro il latifondismo e a favore dell’occupazione delle terre incolte, avvenuta nell’ottobre del 1944 e poi legalizzata dal Ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo nel tentativo di sopperire alla povertà diffusa e in attesa della tanto agognata riforma agraria che mettesse al primo posto, finalmente, i coltivatori con una diversa e più equa ripartizione dei raccolti. Il che però, in Sicilia, equivaleva di fatto a sovvertire gli equilibri politici ed economici gestiti anche – e soprattutto – dalla mafia.
Proprio a Portella della Ginestra, qualche decennio prima Nicola Barbato, una delle figure simbolo del socialismo siciliano, aveva tenuto un memorabile discorso e per molti contadini, usciti stremati dalla guerra, trovarsi lì quel giorno voleva dire anche avere la speranza di mettere qualcosa sotto i denti. Ma nessuno, a onta delle minacce dei capimafia – «Voi mi conoscete! Chi voterà per il Blocco del Popolo non avrà né padre né madre», aveva promesso Salvatore Celeste, capoclan di San Cipirello, durante la campagna elettorale – sospettava che potesse trasformarsi in una strage.
Quel giorno Giacomo Schirò, calzolaio e segretario della sezione socialista di San Giuseppe Iato (lì in sostituzione di altri oratori impediti a partecipare), aveva appena iniziato a parlare quando, ad un tratto, dal dal monte Pelavet partì una gragnuola di colpi. I presenti inizialmente scambiarono i botti per mortaretti ma ben presto i contadini iniziarono a cadere come mosche e tutti si resero conto che la festa si stava trasformando in un eccidio. Sul terreno rimasero 11 vittime, fra cui tre bambini, e una trentina di feriti, alcuni dei quali sarebbero morti di lì a pochi giorni a causa delle ferite riportate. La mattanza fu perpetrata con un uragano di colpi – ben 800, si calcolò -, mitragliati da almeno sette armi diverse.
A sparare erano stati gli uomini di Salvatore Giuliano, il “bandito di Montelepre”, come stabilì il processo inizialmente istruito a Palermo ma poi spostato a Viterbo per “legittima suspicione” e conclusosi il 3 maggio del 1952 con la condanna all’ergastolo di 14 imputati: Gaspare Pisciotta, Antonino Terranova, Frank Mannino, Francesco Pisciotta, Antonino Cucinella, Giuseppe Cucinella, Nunzio Badalamenti, Pasquale Sciortino, Francesco Gaglio, Angelo Russo, Giovanni Genovese, Giuseppe Genovese, Vincenzo Pisciotta e Salvatore Passatempo.
Tra loro non c’era Giuliano, nel frattempo uscito di scena in modo violento: era stato trovato morto il 5 luglio 1950 nel cortile della casa di un avvocato di Castelvetrano, “ufficialmente” rimasto ucciso in un conflitto a fuoco avvenuto la notte precedente con un reparto di Carabinieri alle dipendenze del capitano Antonio Perenze. Una versione sulla quale, però, ancora oggi molti nutrono seri dubbi.
Secondo i giudici di Viterbo, dunque, la strage fu organizzata il 27 aprile 1947 a seguito di una lettera consegnata da Pasquale Sciortino al cognato Salvatore Giuliano e da quest’ultimo subito bruciata per eliminarne le tracce. La sera prima della mattanza Giuliano fece radunare una ventina di uomini, per lo più “picciotti” minorenni, reclutati con la promessa di un compenso, a “lavoro” finito, di cinquemila lire.
Alle prime luci dell’alba dell’1 maggio i banditi si ritrovarono in contrada Cippi, sopra il cimitero di Montelepre, e si divisero in gruppi, quindi si diressero verso il promontorio del monte Pelavet, dal quale si dominava la vallata di Portella della Ginestra. Durante il tragitto sequestrarono quattro ignari cacciatori che avevano incrociato per caso per evitare che potessero raccontare qualcosa. Qualcun altro non sarebbe stato così fortunato. Emanuele Busellini avrebbe pagato con la vita l’essersi imbattuto con gli assassini sulla strada del ritorno dalla mattanza: fu sequestrato, crivellato di colpi e gettato in una dolina profonda 80 metri in quanto, essendo un confidente delle forze dell’ordine, era un “testimone scomodo”.
Che Giuliano sia stato l’esecutore di quell’eccidio è una delle poche certezze di una strage che ancora oggi, tra memoriali scritti e poi misteriosamente scomparsi, eliminazioni e morti “sospette”, presenta un gran numero di punti oscuri. Chi ordinò al bandito di sparare sulla folla? Su questo punto le ipotesi, le contraddizioni e le ritrattazioni sono state innumerevoli. Tra i possibili moventi c’è la vendetta personale di Salvatore Giuliano verso i comunisti che gli stavano rubando la scena ed altri interessi. In parallelo, però, insistono altre tesi rese suggestive dai misteri che avvolgono quel periodo storico così travagliato e che traggono spunto dalle morti sospette dello stesso Giuliano e del cugino delatore Gaspare Pisciotta, ucciso in carcere dal padre nel 1954 con un caffè avvelenato, proprio quando aveva annunciato rivelazioni eclatanti su strani incontri tra esponenti di spicco della DC e mafiosi locali.
Mafia, estrema destra, monarchici, servizi segreti, politica, strage di Stato: cosa si cela davvero dietro l’eccidio di Portella della Ginestra? L’unica cosa certa è anche ancora oggi, a distanza di 77 anni, su questo tragico episodio della nostra storia la Verità – ammesso che ne esista solo una – appare ben lontana dall’essere rivelata.
Oggi per il 77esimo anniversario della strage di Portella della Ginestra la Cgil Palermo ha organizzato una commemorazione, alla quale prenderanno parte oltre la segretaria nazionale del Pd, Elly Schlein, anche il leader del M5S Giuseppe Conte insieme a Giuseppe Antoci, capolista dei pentastellati nella circoscrizione Isole alle prossime elezioni europee.
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