Il vicepremier leghista sfida Mattarella dopo il no presidenziale a una norma che avrebbe indebolito i controlli al ponte sullo Stretto.
Messina – La tensione tra governo e Quirinale sul decreto Infrastrutture si trasforma in un vero e proprio braccio di ferro istituzionale. Al centro della disputa, una norma sui controlli antimafia per il ponte sullo Stretto che il presidente Sergio Mattarella ha fatto cancellare dal provvedimento, scatenando la reazione del vicepremier Matteo Salvini e della Lega.
La norma bocciata: controlli speciali centralizzati
Il punto di rottura riguardava l’articolo che affidava la competenza dei controlli antimafia per la mega-opera a una struttura ad hoc, diretta dal prefetto Paolo Canaparo. Un meccanismo che prevedeva deroghe alle procedure ordinarie, simile a quello utilizzato per le emergenze come i terremoti o eventi eccezionali come le Olimpiadi.
Gli uffici del Quirinale hanno ritenuto la norma inappropriata, ottenendone la cancellazione prima dell’emanazione del decreto. Solo dopo questa modifica, Mattarella ha firmato il provvedimento, che è stato trasmesso alle Camere per la conversione in legge.
La replica della Lega: “Reinseriremo tutto in Parlamento”
La Lega non ha intenzione di arrendersi. Anzi, rilancia con una nota che suona quasi come una sfida al Colle: “In sede di conversione, il Mit auspica fortemente che il Parlamento possa valutare l’importanza di alcune integrazioni, a partire dal rafforzamento dei controlli anti-mafia sul ponte sullo Stretto“.

Il partito di Matteo Salvini ha annunciato di voler reintrodurre la norma durante l’iter parlamentare, sottolineando come l’opera “meriti il massimo dell’attenzione per garantire legalità e trasparenza nel coinvolgimento delle migliaia di imprese e degli oltre 100mila lavoratori”.
Il Quirinale spiega i motivi del niet
Di fronte all’escalation polemica, la risposta del Colle è un capolavoro di chiarezza istituzionale. In una nota ufficiale, la presidenza della Repubblica ha spiegato che “la norma sui controlli antimafia non era contenuta nel testo preventivamente inviato al Quirinale ma è apparsa poche ore prima del Consiglio dei Ministri”.
La spiegazione tecnica è ancora più dettagliata: “La legislazione in vigore contempla norme antimafia rigorose per le opere come il ponte di Messina. La norma proposta prevedeva invece una procedura speciale, che non risulta affatto più severa delle norme ordinarie“. La tempistica con cui la norma è stata inserita solleva interrogativi importanti sulla trasparenza del processo decisionale. Perché una questione così delicata è stata elaborata senza coinvolgere preventivamente gli uffici presidenziali? Il meccanismo previsto ricalcava quello delle emergenze ma per un’opera ordinaria, seppure di innegabile importanza. Una forzatura procedurale che nasconde probabilmente l’obiettivo di aggirare controlli più stringenti.

Il Quirinale ha inoltre precisato un aspetto cruciale: “La procedura speciale autorizza anche a derogare ad alcune norme previste dal Codice antimafia non consentite dalle regole ordinarie per le opere strategiche di interesse nazionale”.
Salvini non molla: “Il Parlamento deciderà”
Il vicepremier leghista, a margine di un sopralluogo a Genova, ha ribadito la sua posizione senza fare passi indietro: “Chiederemo il massimo del rigore, il massimo della trasparenza, più poteri al Ministero dell’Interno e alle Prefetture per verificare che non ci siano infiltrazioni”.
Salvini ha poi aggiunto una velata critica alla decisione presidenziale: “Dal mio punto di vista era importante, qualcuno l’ha pensata in modo diverso. Vorrà dire che sarà il Parlamento a mettere il massimo delle garanzie”. Il Ministro delle Infrastrutture ha poi insistito sulla necessità di controlli rafforzati.
Uno scontro dalle implicazioni più ampie
La vicenda va oltre la questione tecnica dei controlli antimafia. Si profila uno scontro tra due diverse visioni istituzionali. Da un lato il governo che rivendica la necessità di procedure speciali per un’opera considerata strategica, dall’altro il Quirinale che difende il rispetto delle procedure ordinarie e la gerarchia delle fonti normative.
Il paradosso è evidente: mentre il governo presenta la norma come un rafforzamento dei controlli, il Colle evidenzia come essa comporti in realtà possibili deroghe al codice antimafia, quindi un potenziale indebolimento delle tutele. La procedura d’emergenza non sarebbe infatti più rigorosa di quella ordinaria ma potrebbe offrire più ampi margini di flessibilità.
La partita parlamentare
La battaglia si sposta ora in Parlamento, dove la Lega annuncia di voler reintrodurre la norma durante la conversione del decreto. Sarà interessante vedere se gli alleati di governo, Fratelli d’Italia e Forza Italia, sosterranno questa iniziativa. Il rischio è di aprire un nuovo fronte di tensione con il Quirinale.

La vicenda illumina anche le difficoltà politiche che circondano il ponte sullo Stretto, opera-simbolo del governo Meloni, che continua a suscitare non poche perplessità. In un territorio storicamente segnato dalla presenza mafiosa, la questione dei controlli assume una rilevanza particolare, rendendo ancora più delicato l’equilibrio tra efficienza amministrativa e garanzie di legalità.