Pier Paolo Pasolini: 49 anni fa l’omicidio, un caso controverso e pieno di misteri

Le ultime ore con “Pino la Rana”, che confessò e dopo 30 anni tirò in ballo altri. Respinta l’ultima richiesta di riaprire l’inchiesta.

Roma – Le ultime ore con Giuseppe Pelosi, uno dei ragazzi di vita con i quali amava intrattenersi, l’unico che ha pagato il suo conto con la giustizia. Il 2 novembre del 1975 muore ad Ostia Pier Paolo Pasolini. Poeta, intellettuale scomodo e controcorrente e autore di capolavori del cinema e della letteratura. Quella notte di 49 anni fa tra il 1 e il 2 novembre. Lo scrittore viene trovato morto in circostanze drammatiche all’Idroscalo di Ostia. A soli 53 anni, Pasolini lascia un vuoto incolmabile nel panorama culturale italiano, arricchito dal mistero e dalle teorie contrastanti sulla sua scomparsa. La sua morte violenta, inizialmente attribuita al giovane Giuseppe Pelosi, conosciuto come “Pino la Rana”, ha sollevato interrogativi mai risolti, alimentando nel tempo ipotesi di un complotto.

Pelosi, l’uomo condannato in via definitiva per l’assassinio di Pasolini, è scomparso nel 2017 a 59 anni – per un brutto male – portando con se i misteri di quella notte. Nato a Roma il 22 giugno 1958, era cresciuto nel quartiere Setteville di Guidonia, dove era conosciuto come Pelosino per via dell’aspetto imberbe. Il soprannome di Pino ‘la rana’ glielo affibbiò la stampa durante il processo Pasolini per gli occhi gonfi. Ed era noto alla polizia come un ragazzo di vita: viveva di espedienti, piccoli furti e prostituzione maschile. Il 1 novembre 1975 alle 22.30 di fronte alla stazione Termini, Pier Paolo Pasolini invita Pelosi a “fare un giretto”. Alle ore 23 Pasolini porta Pelosi a mangiare alla trattoria Al biondo Tevere.

L’arresto di Pino Pelosi

Alle 23.30 i due lasciano la trattoria e vanno a Ostia nei pressi dell’Idroscalo del Lido di Roma in uno sterrato accanto a un campetto di calcio. Alle ore 1.30 del 2 novembre 1975 il ragazzo viene fermato sul Lungomare Duilio di Ostia alla guida dell’Alfa di Pasolini, mentre guida contromano a folle velocità. Inizialmente accusato solo di furto dell’auto, che risulta intestata allo scrittore. Pelosi viene trasferito nel carcere minorile di Casal del Marmo, dove al compagno di cella confessa: “Ho ammazzato Pasolini”. E’ il 5 novembre 1975 quando viene interrogato. Racconta di un litigio con Pasolini per una prestazione sessuale non gradita, sfociato in una feroce colluttazione. Pelosi sostiene anche che lo scrittore l’avrebbe colpito per primo con un bastone, e che lui si sarebbe difeso colpendolo a sua volta con una tavola di legno e poi, lasciatolo a terra, sarebbe fuggito.

La morte di Pasolini sarebbe stata involontaria in quanto provocata dal fatto che l’Alfa ha investito il poeta durante la fuga di Pelosi schiacciandogli il torace e rompendogli il cuore. Pelosi sostiene anche che non vi fossero altre persone sul luogo del delitto. Il 10 dicembre 1975 Pelosi viene rinviato a giudizio al tribunale dei minori per omicidio volontario, furto d’auto e atti osceni in luogo pubblico. Il processo si apre il 2 febbraio 1976 e si conclude il 26 aprile con una condanna a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni. Al processo di appello nel dicembre 1976 viene assolto dai reati di atti osceni e furto, ma è confermata la condanna di omicidio. La sentenza diviene definitiva in Cassazione il 26 aprile 1979, che conferma la sentenza. Rinchiuso a Civitavecchia, Pelosi il 26 novembre 1982 ottiene la semilibertà e il 18 luglio 1983 la libertà condizionata.

Pier Paolo Pasolini

Ma poi il 7 maggio 2005 afferma in tv di non aver ucciso Pasolini che sarebbe stato massacrato a bastonate e catenate da tre persone, a lui sconosciute, che parlavano con accento siciliano. Nel settembre 2011, nella sua autobiografia, Pelosi racconta di non aver incontrato per la prima volta Pasolini la sera del delitto ma di averlo conosciuto all’inizio dell’estate e di averlo frequentato con una certa assiduità. Afferma di essere stato minacciato di morte assieme ai suoi genitori da parte di uno degli aggressori, e di aver atteso la loro morte per iniziare a parlare. Vi fu allora un tentativo di riaprire le indagini su quell’omicidio, sostenuto da Guido Calvi e Nino Marazzita, all’epoca del delitto giovani penalisti e difensori di parte civile dei familiari dello scrittore. L’iniziativa portata avanti da Marazzita tuttavia non ebbe seguito, malgrado una serie di prese di posizione tra cui quella di Sergio Citti (scomparso poi l’11 ottobre 2005).

Nei primi mesi del 2009 si registra un nuovo capitolo nella tormentata vicenda investigativa sul mistero della morte di Pasolini. Alla luce delle nuove dichiarazioni rilasciate da Pino Pelosi agli autori del libro Profondo nero, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, delle indagini del Pm di Pavia Vincenzo Calia sulla morte di Mattei e di nuove prove documentali,  il 27 marzo l’avvocato Stefano Maccioni, coordinatore di “Giustizia per i diritti”, e la criminologa Simona Ruffini hanno chiesto la riapertura delle indagini sull’omicidio dell’Idroscalo di Ostia e la loro richiesta è stata accolta dalla procura di Roma, che ha affidata il caso al magistrato Diana De Martino. I due personaggi coinvolti di cui parla in tv Pelosi, potrebbero essere i fratelli Franco e Giuseppe Borsellino, criminali comuni di origini siciliane, spacciatori, militanti nell’Msi morti di Aids negli anni novanta. Si erano vantati con un agente di polizia che operava sotto copertura di aver preso parte al massacro, ma davanti al magistrato negarono tutto.

Una foto sul luogo del delitto

Ci sono tante cose che non convincono. A partire dalle indagini compiute in fase istruttoria. Sono in tanti a dubitare di quelle indagini. Già lo avevano fatto i giornalisti, fin dal primo momento. Oriana Fallaci ed altri cronisti del settimanale L’Europeo conducono anche una controinchiesta. Salta fuori un testimone che dice che Pasolini era entrato in una baracca con Pino Pelosi e due motociclisti, che poi lo avevano inseguito fino al campetto, colpendolo con una catena. Arriva un altro testimone, un omosessuale che frequenta il giro della prostituzione, e che dice che Pasolini è stato ucciso perché faceva troppe domande sul racket dei ragazzi di vita. Ne arriva un altro ancora, “il ragazzo che sa” lo chiama la Fallaci, che dice che Pasolini è caduto in un agguato organizzato per rapinarlo e che è stato ucciso per avere reagito. “Gli volevano solà er portafoglio” dice il testimone ai giornalisti, prima di scappare via.

Ma i punti in discussione riguardano soprattutto la conduzione delle indagini. Quando la polizia arriva sulla spiaggia dell’Idroscalo, alle sei e quarantacinque di quella domenica mattina, trova accanto al corpo di Pasolini una piccola folla di curiosi. Nessuno li allontana, e gli agenti lasciano perfino che alle nove un gruppo di ragazzi in maglietta e calzoncini giochi una partita sul campetto vicino. Non è una zona interessata dai rilievi, dice la polizia. No, dicono i giornalisti, il campetto era a pochi metri, tanto che a volte la palla arriva sul luogo del delitto e sono gli stessi agenti a rilanciarla ai ragazzi con un calcio. E dietro la porta del campetto, dicono i giornalisti, ci sono pezzi di legno macchiati del sangue di Pasolini e la sua camicia intrisa di sangue, che sta in un posto strano, a 70 metri da dove è stato ritrovato il corpo.

Il ritrovamento del corpo di Pasolini

Tante storture e enigmi che hanno accompagnato la morte misteriosa dello scrittore, e l’ultima richiesta di riapertura del caso rigettata dalla Procura di Roma. E’ il 2023 e l’avvocato Stefano Maccioni redige un atto a nome del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti. Nell’istanza si chiede di accertare a chi appartengano i tre Dna individuati dai carabinieri del Ris nel 2010 sulla scena del crimine. “Quella notte all’Idroscalo di Ostia Pino Pelosi non era solo – afferma il legale -, ci sono almeno tre tracce, tre ‘fotografie’ di persone e ciò giustifica il perché, dopo quasi 50 anni, è ancora possibile arrivare ad una verità giudiziaria. Una verità che si baserebbe su dati scientifici, sulla presenza di tre Dna: da qui si deve partire per svolgere le indagini per accertare a chi appartengono”.

I presentatori dell’istanza di riapertura del fascicolo aggiungono che “nella prima indagine questo si è fatto in modo parziale, vennero esaminati circa 30 Dna ma oggi è tempo di fare verifiche più diffuse tenendo presenti anche le dichiarazioni di Maurizio Abbatino, esponente della Banda della Magliana, che alla Commissione Antimafia dà una giustificazione sul perché Pasolini si recò all’Idroscalo di Ostia: non era lì per consumare un rapporto sessuale occasionale con Pino Pelosi, con il quale lo scrittore aveva una relazione, ma per riottenere le pizze di Salò, le 120 giornate di Sodoma che gli erano state sottratte e a cui teneva tantissimo”. Per Maccioni, Grieco e Giovannetti Pasolini venne “attratto in una trappola e lì venne aggredito a morte. Nell’istanza di centinaia di pagine forniamo molti elementi, tante tessere che i magistrati devono mettere insieme”.

Pino Pelosi e la sua ultima versione dei fatti nel 2005

Ma la Procura di Roma respinge la nuova istanza: “Non ricorrono i presupposti per nuove investigazioni”, ha sentenziato. Nel provvedimento con cui nega ulteriori accertamenti, il pubblico ministero Francesco Minisci afferma che gli spunti, “valutati alla luce delle imponenti attività svolte” nel vecchio procedimento “non sono idonei a consentire l’attivazione della procedura di riapertura delle indagini”. Si tratta infatti di elementi che “per alcuni aspetti non sono focalizzati sull’omicidio ma riguardano episodi di contorno, talora ripetitivi di attività già svolte e orientati verso soggetti già valutati, riferiti a un raggio investigativo dal carattere sostanzialmente perlustrativo“, che “non appaiono utili ad aggiungere altri elementi alla mole e alla completezza di indagini (già svolte dall’ufficio e valutate dal giudice per le indagini preliminari di Roma)”.

“Prendiamo atto con malcelata amarezza della decisione presa dalla Procura della Repubblica di Roma di rinunciare all’accertamento delle effettive responsabilità per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini”, ha commentato l’avvocato Maccioni. “È evidente che Giuseppe Pelosi (criminale condannato per l’assassinio negli anni Settanta e morto nel 2017, ndr) non possa essere considerato l’unico responsabile, ma si rinuncia a svolgere ulteriori indagini ritenendo che quelle svolte dal 2010 al 2015 siano state sufficienti. Ma se così fosse perché non si è arrivati ad una soluzione? Perché non si è mai indagato sul movente? Perché ancora una volta non si è acquisito il fascicolo relativo a Pier Paolo Pasolini custodito presso il Dis (i servizi segreti interni, ndr)? Perché non si effettuano ulteriori accertamenti scientifici sui tre Dna rinvenuti sulla scena del crimine su alcune persone? A tutte queste domande i cittadini italiani non troveranno mai risposte”.

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