HOME | LA REDAZIONE

Piazza della Loggia, la verità (forse) dopo cinquant’anni

Rinviato a giudizio il neofascista Roberto Zorzi: per l’accusa è tra gli autori materiali della strage insieme a Marco Toffaloni, allora minorenne.

Il 19 maggio 1974 Silvio Ferrari, giovane neofascista bresciano già protagonista di almeno due attentati dinamitardi in città, saltò in aria in seguito all’esplosione dell’ordigno che trasportava sulla pedana della Vespa 125 di proprietà del fratello. L’intenzione del ventunenne bresciano era quella di recapitare la bomba di fronte alla sede della Cisl cittadina, ma il difettoso funzionamento dell’innesco a orologeria fece esplodere il mezzo chilo di tritolo almeno mezz’ora prima del tempo convenuto: erano le 3 e trenta del mattino.

La morte di Ferrari diede il via ad una serie di eventi che culminarono nella strage di piazza della Loggia. Il giorno del funerale, il 21 maggio, numerosi esponenti di destra resero omaggio al giovane caduto, mentre alcune lettere minatorie recapitate ai giornali annunciavano futuri attentati come rappresaglia. Il clima in città si era fatto rovente e i sindacati si convinsero ad indire uno sciopero generale il 28 maggio al quale avrebbe fatto seguito una manifestazione antifascista in piazza della Loggia. Quel giorno pioveva a dirotto su Brescia e in piazza aveva appeno preso la parola Franco Castrezzati, dirigente della Cisl, quando un boato scosse la manifestazione: un ordigno piazzato in un cestino dei rifiuti era esploso uccidendo otto persone e ferendone 102.

Strage di piazza della Loggia: 8 morti e più di cento feriti

Il primo troncone dell’inchiesta riguardante piazza Della Loggia si era concentrato su giovani elementi locali. Nel 1979 si arrivò alla condanna di primo grado all’ergastolo per Ermanno Buzzi, ritenuto allora esecutore materiale della strage. Alla vigilia del processo di appello che l’avrebbe assolto, e mentre si rincorrevano voci su un suo possibile pentimento, Buzzi venne strangolato (era il 13 aprile del 1981) nel supercarcere di Novara da Pierluigi Concutelli e Mario Tuti.

Personaggio eccentrico, ritenuto dalla sua stessa cerchia un mitomane, nonché adescatore di ragazzini e, peggio, informatore dei carabinieri, Buzzi era un pesce piccolo dell’eversione nera. Non così i suoi killer, Tuti e Concutelli, figure preminenti del neofascismo di metà anni Settanta, che rivendicarono l’omicidio dell’”infame” Buzzi in modo da tracciare un distinguo netto tra la loro militanza e quella di stampo stragista, collusa con i poteri dello Stato.

Dopo molti anni di depistaggi, altre condanne in primo grado poi ribaltate dall’appello e dalla Cassazione, soltanto il 20 giugno del 2017 divenne definitiva la pena dell’ergastolo inflitta a Carlo Maria Maggi, ordinovista veneto ritenuto il mandante della strage bresciana, e al militante neofascista e informatore dei servizi Maurizio Tramonte, la cosiddetta “Fonte Tritone”.

Giudicati i mandanti restavano però a piede libero gli esecutori materiali della strage, di cui la giustizia si è occupata in un ulteriore filone d’inchiesta. A seguito di rivelazioni del collaboratore di giustizia Gian Paolo Stimamiglio, al quale Marco Toffaloni, ritenuto dagli inquirenti militante di Ordine Nuovo, avrebbe riferito di “aver avuto un ruolo tutt’altro che marginale nella strage”, è stata acquisita una fotografia del giorno della strage che attesterebbe la presenza di Toffaloni, all’epoca diciassettenne, in Piazza della Loggia la mattina del 28 maggio 1974, pochi istanti dopo l’esplosione.

Cinquant’anni di depistaggi e sentenze ribaltate in appello o Cassazione

Presenza confermata nell’incidente probatorio svoltosi di fronte al Tribunale dei minorenni di Brescia nel luglio del 2016 durante il quale è stata effettuata una comparazione tra la fotografia e altre ritraenti Toffaloni nella stessa epoca, sequestrate presso i suoi genitori. Toffaloni, interrogato sui fatti per rogatoria (poiché è residente in Svizzera) si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il 5 aprile scorso è stato rinviato a giudizio con l’accusa di strage. Ieri è toccato a Roberto Zorzi, accusato dai magistrati di aver condiviso con Toffaloni il piano ed essere stato uno degli esecutori materiali dell’attentato. Entrambi gravitavano nell’orbita di Ordine nuovo, il movimento di estrema destra extraparlamentare sciolto in base alla legge Scelba per il divieto di ricostituzione del partito fascista, ed erano considerati dagli inquirenti agli ordini del leader veneto Carlo Maria Maggi. Zorzi è cittadino americano, vive negli Usa da molti anni ed è titolare di un allevamento di dobermann chiamato “Il littorio”.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa