Il sogno di risolvere i problemi della popolazione locale si è trasformato in un incubo senza fine che ha ammalato uomini e campagne
Lo sfruttamento petrolifero della Val D’Agri è stato decantato dalla classe politica lucana come un volano per lo sviluppo economico-occupazionale per le comunità della zona, ma si è in seguito rivelato un profondo depauperamento del territorio a vantaggio solo delle compagnie petrolifere.
La mancanza di coinvolgimento delle amministrazioni locali e dei cittadini nelle decisioni politiche riguardanti le modalità di estrazione e la gestione del petrolio ha generato un malcontento che ha portato, nella seconda metà degli anni ‘90, le comunità locali a costituirsi in comitati e associazioni aventi lo scopo di denunciare le criticità sociali, economiche ed ambientali e la mancata redistribuzione sul territorio degli ingenti proventi delle estrazioni.
Le trivellazioni in Val d’Agri hanno portato due effetti nefasti: hanno fatto aumentare il tasso di malattie e la mortalità. E, in tutto questo, non hanno nemmeno aiutato l’occupazione.
Quella del petrolio in Basilicata è una lunga storia che non viene mai raccontata per intero. Ha inizio con le prime scoperte avvenute in Val d’Agri all’inizio del secolo. Quasi mai, attorno a queste vicende, c’è stato un dibattito critico che permettesse di rispondere a una domanda semplice: quali sono stati i benefici per il territorio? Quali i costi e gli impatti negativi in termini sanitari e ambientali? Quali introiti il petrolio ha negato all’economia locale nel campo turistico, culturale o agricolo? Domande spesso sottovalutate dai media ma presenti nel tessuto dell’opinione pubblica locale.
L’assenza di trasparenza e di un racconto oggettivo sulle attività petrolifere svolte da Eni nella concessione di coltivazione in Val d’Agri (in scadenza nell’ottobre del 2019) ha fatto emergere la consapevolezza che non era oro ciò che appariva luccicare. Le principali critiche mosse dalla società civile sono state: la mancanza di meccanismi di informazione e consultazione della cittadinanza e degli enti locali nelle decisioni relative ai progetti estrattivi, la mancata tutela delle economie locali tradizionali dagli effetti di una attività transitoria ma devastante come quella estrattiva, la mancanza di controlli sistematici sulle acque, sulla qualità dell’aria, del suolo e sulla salute della popolazione, la mancanza di un sistema fisso di centraline e di limiti rigidi di emissioni, la mancata previsione di divieti di estrazione in aree protette o di particolare valore paesaggistico o naturalistico, nei pressi di centri abitati o di aree fluviali o laghi, e la mancata perimetrazione dell’istituita area protetta del Parco dell’Alta Val D’Agri.
Sono molte le esperienze di comitati e associazioni che si sono battute per la difesa del territorio, per la salvaguardia dell’ambiente e della salute. E’ nata OLA (Organizzazione Lucana Ambientalista), che ha portato avanti un continuo lavoro di monitoraggio quotidiano, di informazione ed azione sulle principali cause di minaccia ambientale sul territorio regionale.
È bastata una goccia, si fa per dire, a far traboccare il vaso.
Dopo aver negato a lungo, perfino in audizione della decima Commissione Industria del Senato, l’Eni di Descalzi ha ammesso che dal Centro Olio Val d’Agri (COVA) sono state “sversate 400 tonnellate di petrolio in Basilicata, 6mila metri quadri contaminati”.
Un danno enorme per la Basilicata che ha portato alla chiusura per alcuni mesi del COVA e alla contaminazione delle acque che defluiscono a due chilometri dalla diga del Pertusillo, un bacino idrico che fornisce acqua anche alla Puglia.
Il fermo del COVA è costato ad Eni 250 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti i 6,5 milioni spesi per le attività di verifica e controllo realizzate nei primi 60 giorni, oltre a quelli spesi per la completa messa in sicurezza e la realizzazione della bonifica. Oltre al danno sanitario e ambientale, per la Regione Basilicata si è creato un danno di cassa pari a 100 milioni di euro. Il buco di bilancio ha contribuito all’esercizio provvisorio del bilancio regionale a partire dal 1° gennaio 2019.
A pochi mesi dalla scoperta dello sversamento, sono emerse altre informazioni interessanti, grazie all’indagine di un dirigente del CNR, autore di uno studio dell’area su cui insiste la concessione petrolifera, che ha evidenziato un dato sconvolgente: in questi Comuni si muore di più e ci si ammala di più per determinate patologie, sia rispetto al resto della Val d’Agri sia rispetto al resto della Regione.
Il 30 marzo 2016 il Centro Oli Val D’Agri compare su tutte le prime pagine dei giornali nazionali, grazie ad un’inchiesta giudiziaria avviata dalla Procura di Potenza, con la quale vengono arrestate e messe ai domiciliari sei persone, tra cui funzionari e dipendenti del COVA e l’ex sindaco di Corleto Perticara, per attività di traffico e smaltimento illecito di rifiuti, in particolare per la gestione dei reflui petroliferi. A seguito di questa inchiesta, il Centro Oli è stato messo sotto sequestro e l’attività produttiva è stata sospesa, a causa degli sforamenti nelle emissioni di anidride solforosa e dello smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi. Pochi mesi dopo, a Giugno del 2016, la Procura ha però deciso il dissequestro facendo così tornare in funzione l’impianto.
Nel dicembre 2016 un nuovo incidente, a cui è seguita l’emissione di fiammate e di una densa nube nera, ha interessato il COVA e in particolare il termodistruttore della quinta linea di produzione, la più nuova, inaugurata solo nel gennaio 2016. L’incidente ha causato proteste da parte della comunità.
A seguito delle segnalazioni di miasmi nella zona del COVA e nei pressi del laghetto e del depuratore del consorzio della zona industriale di Viggiano nel Gennaio 2017, sono state predisposte operazioni di spurgo dei pozzetti e sondaggi nei terreni e nelle acque. La sfiducia da parte della cittadinanza nei confronti degli enti preposti al controllo ed alla protezione dell’ambiente e della salute umana è stata amplificata nel febbraio 2017, a seguito della comparsa di macchie scure nelle acque del Pertusillo. Le immagini del lago, girate da un drone, hanno scatenato la preoccupazione degli abitanti, che temono fuoriuscite di idrocarburi derivanti dalle attività estrattive, nonostante l’ENI abbia negato la correlazione tra le macchie e il COVA.
A Maggio del 2017, l’ENI ha ammesso di aver sversato 400 tonnellate di petrolio nei terreni all’interno e all’esterno del Centro Oli. Poi ha cercato di chiudere la questione dell’incidente con un patteggiamento. Sono state pubblicati i risultati della V.I.S., la valutazione di impatto sanitario realizzata sugli abitanti della Val D’Agri, con particolare riferimento ai comuni di Viggiano e di Grumento, i due paesi maggiormente esposti ai fumi del Centro Olio. Secondo quanto esposto, osservando i dati di mortalità e i ricoveri nel periodo 2000-2014, a causa dell’attività petrolifera, a Grumento e ancor più a Viggiano ci si ammala e si muore maggiormente che nel resto della valle e della regione.
Nonostante i risultati agghiaccianti, si tratta di una importante vittoria dei comitati locali, che da anni chiedono monitoraggi ambientali sulle conseguenze delle attività estrattive nella zona.