Peste suina, nessuna misura di sicurezza e carcasse interrate: individuato a Vernate l'”allevamento zero”

Una ventina gli allevamenti contaminati in Lombardia, tra Pavia, Milano e Lodi: “A rischio un settore che vale 20 miliardi”.

Brescia – Mentre entra in vigore la nuova ordinanza sulla peste suina africana (Psa) firmata dal commissario straordinario, Giovanni Filippini – che darà il via a una serie di stringenti misure di prevenzione e di innalzamento dei livelli di biosicurezza, valide per Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna -, sarebbe stato individuato l'”allevamento zero” da cui si è propagata l’epidemia su scala regionale: un’azienda agricola di Vernate, nel milanese.

Qui i proprietari non solo avrebbero sottovalutato le misure di biosicurezza e segnalato in grave ritardo i primi casi di Psa, ma avrebbero seppellito le carcasse degli animali morti. Un comportamento che, come ha ricostruito Mario Chiari della direzione generale welfare di Regione Lombardia e sub commissario Psa, intervenuto nel convegno promosso da Confagricoltura Brescia nell’ambito della Fiera agricola di Orzinuovi, ha, se non addirittura innescato, per lo meno favorito il dilagare della pandemia di peste suina che sta facendo tremare un intero comparto.

Il virus, ha spiegato Chiari, è stato individuato in alta densità nell’ambiente già a luglio, durante l’attività di abbattimento e ricerca di carcasse di cinghiali nel Parco del Ticino. L’innesco, quindi, sarebbe stato la presenza di virus in cinghiali all’interno di una zona vicina agli allevamenti dove poi si sono registrati i primi focolai. Il primo è stato quello di Basate, un allevamento a conduzione famigliare con 500 suini, di cui 80 riproduttori, non in filiera e quindi senza uscita di animali a rischio. Poi la diffusione è stata tra Milano, Pavia, Lodi, con distanze molto importanti tra i focolai. Ma la “falla” vera e propria è stata riscontrata nell’allevamento di Vernate, ufficialmente quarto focolaio, ma probabilmente il primo a essere realmente contagiato.

“Le scarse misure di biosicurezza nell’allevamento di Vernate hanno determinato l’ingresso della malattia. C’è stato un ritardo molto importante – ha proseguito Chiari – nella segnalazione, perché da quello che è emerso dall’indagine congiunta con i Nas, sono state riscontrate una ventina di carcasse sotterrate nel retro dell’allevamento, tutte positive al virus”.

L’allevatore avrebbe inoltre prestato la propria opera anche in altri allevamenti, e anche il veterinario aziendale, nell’inconsapevolezza di quanto accaduto, si è spostato sul territorio, “generando – spiega Chiari – almeno 8 focolai e innescando l’epidemia sul territorio regionale”. Al 29 agosto, risultano in Lombardia 17 focolai, tra Pavia, Lodi e Milano, per un totale di 58.656 capi coinvolti. Per tutti sono stati messi in campo i provvedimenti per evitare il contagio, con la ricostruzione anche della catena dei contatti, indagini epidemiologiche e blocco delle movimentazioni. Per ora non risultano focolai tra i contatti dei casi noti così come non ci sono positività tra i veterinari ufficiali. La situazione, però, desta molta preoccupazione nel settore allevamento, e non solo.

La peste suina, va detto con estrema chiarezza, non è pericolosa per l’uomo. E’ invece estremamente contagiosa e letale per i suini. Il rischio è quindi che, propagandosi, si arrivi alla crisi del settore, con danni economici enormi perché nella sola Lombardia si alleva ben il 40% dei suini presenti in tutto il Paese. Si calcola una possibile perdita di 30 miliardi di reddito per la mancata esportazione. In altre parole, un autentico disastro.

Anche per questo la paura tra gli allevatori è alta. Assosuini avvisa che “dopo ben mille giorni di allarmi inascoltati, adesso non si può chiedere agli allevatori di trasformare gli allevamenti in sale operatorie e tenere i costi della carne ai minimi”. I vertici di Coldiretti chiedono “che vengano subito erogati gli indennizzi dovuti alle aziende danneggiate dalla Psa” e certezze sul fatto che i rimborsi riguardino anche chi è costretto a restare fermo senza ripopolare.

“Abbiamo sottolineato l’importanza di misure di contenimento, come la riduzione della popolazione dei cinghiali, principali vettori del virus – ha detto il presidente Coldiretti Ettore Prandini – ora ci aspettiamo che queste strategie vengano attuate. La carne suina è assolutamente sicura e controllata. Le preoccupazioni degli allevatori sono legittime. Hanno fatto enormi sacrifici e ora si trovano in grande incertezza. Gli indennizzi devono arrivare rapidamente per permettere loro di superare questa crisi”. Una situazione allarmante, quindi, perché “i focolai indicano che l’emergenza sta minacciando l’intero comparto suinicolo che vale 20 miliardi di euro e che impiega oltre 100mila persone”.

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