Parlare di una sconfitta dell’Ucraina non è più proibito

L’Occidente comincia ad ammettere quello che era già evidente dal principio: quella guerra non si può vincere.

Alla fine il principio di realtà si è imposto, costringendo tutti a tener conto di quelle che sono le condizioni reali dell’agire: l’Ucraina può perdere la guerra, la Russia invece no. Perché ha l’atomica e nessuno, per fortuna, ha voluto andare a vedere l’eventuale bluff di Putin; perché è una guerra asimmetrica, dove non contano soltanto le tonnellate di munizioni a disposizione, ma anche il numero di soldati in grado di imbracciare un fucile e premere il grilletto. E la Russia che è più grande ne ha semplicemente di più dell’Ucraina, più piccola e drammaticamente a corto di uomini. Perché le sanzioni o sono globali o non sono, non funzionano. Se si sfilano dal gruppo giganti come Cina e India, il gioco non vale la candela. E comunque l’isolamento commerciale può strozzare staterelli quali Cuba, non giganti come l’orso russo.

Il bello, anzi il brutto, è che il principio di realtà non è mutato rispetto al 24 febbraio dell’anno scorso, quando i tank russi hanno violato il suolo ucraino. C’era allora come oggi, soltanto che per oltre un anno hanno fatto finta di non vederlo. Peggio, chi si azzardava a guardarlo e darne testimonianza finiva lesto lesto nelle liste di proscrizione, cacciato nel girone dei disfattisti, dove sguazzavano nella melma maleodorante i filo putiniani, le serpi in seno dell’Occidente, gli antidemocratici tifosi del nuovo zar.

Conflitto russo-ucraino: l’ingrato compito dei “fuori dal coro”

Peccato che il principio di realtà abbia tra le sue maggiori virtù la resilienza, puoi negarlo, disconoscerlo, ignorarlo, perfino deprecarlo, ma non impedirgli presto o tardi di presentarsi all’incasso. Più tardi succede e peggio è. I giornali americani sono stati i primi a tornare a praticarlo, poi qualcuno, seppur tra lancinanti torsioni sintattiche, lo ha riscoperto anche da noi. Le difficoltà di Biden nel farsi approvare dal Congresso i nuovi aiuti a Kiev, gli scricchiolii interni al gruppo dirigente ucraino, il sorriso di Putin a Riad, l’ostentata equidistanza di Cina e India, il doppio gioco turco, la stanchezza dell’opinione pubblica europea, sono i puntini che un volta uniti, come nel vecchio gioco della Settimana Enigmistica, disegnano il ghigno del padrone del Cremlino.

Intendiamoci, non c’è niente di commendevole nel principio di realtà, che pretendere di sacrificare le legittime aspirazioni di un Paese fiero ed eroico come l’Ucraina, colpito nella sua integrità territoriale da un aggressore brutale, sull’altare di una raccapricciante legge del più forte. Di eticamente più meschino c’è soltanto chi si ostina a negarlo sapendo di mentire (quando mai le ragioni morali hanno vinto le guerre?), mandando scientemente un popolo al massacro e continuando ad alimentarne la mattanza contro ogni evidenza.

Putin non è stato isolato come sperava l’Occidente

E ancora prima arrischiando il maxi allargamento a est della Nato, ben sapendo che Mosca non sarebbe stata a guardare. Se oggi il sedicente mondo libero dovesse decidere di sedersi al tavolo delle trattative con Putin, – la pace purtroppo si fa con i nemici – cosa avrebbe guadagnato rispetto ad un anno fa, quando a chiederlo erano soltanto un manipolo di reietti? Probabilmente niente, se non risparmiarsi un fiume di sangue. Anzi, lo zar avrebbe oggi la sensazione di un Occidente sfiancato e giocherebbe al alzare la posta.

I danni collaterali provocati dall’ostinazione occidentale – prezzi delle materie prime alle stelle, inflazione recessione – sono niente rispetto allo sprofondo diplomatico rappresentato da un eventuale vittoria, o anche una non sconfitta, di Putin. Sarebbe la plastica dimostrazione che l’Occidente e le democrazie stanno diventando minoranze nel mondo. Di fatto la Russia non è isolata: e Cina, India, Sudafrica, Brasile e il Sud del Mondo hanno una valutazione diversa del conflitto e probabilmente del mondo che verrà.

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