Il componente chimico è potenzialmente cancerogeno per inalazione dunque conviene scegliere protezioni individuali fabbricate a norme CE.
Padova – Che cosa si nasconde dietro le mascherine o meglio dietro il loro utilizzo? Sono realmente utili oppure addirittura pericolose per la salute? Mentre in Italia esiste oramai dappertutto l’obbligo della protezione individuale, nella comunità scientifica c’è chi sostiene che la loro efficacia sia molto limitata, a causa dell’utilizzo corretto che ne andrebbe fatto e che, invece, non sempre è rispettato.
Dunque dispositivi sanitari da calzare ovunque tranne in casa nostra dove però sarebbe utile indossarli se ci troviamo in compagnia di persone, amici o parenti che non appartengono al nostro nucleo familiare. Ma mentre da un lato l’evidenza scientifica dimostrerebbe che mascherina unita a distanza sociale diminuirebbe la carica virale di 1.000 volte, dall’altro uno studio appena condotto dai ricercatori dell’Università di Tokyo è riuscito a dimostrare che le mascherine – sia quelle chirurgiche che quelle di cotone – sarebbero in grado di bloccare solo in parte le particelle disperse nell’aria, anche quando non si mantiene la distanza di sicurezza.
Stessa cosa vale per i dispositivi di protezione individuale, cioè le mascherine professionali, che avrebbero una capacità protettiva maggiore ma comunque non totale. Queste, dicono i ricercatori, non sono state in grado di bloccare in larga parte la trasmissione di goccioline di virus anche se erano completamente sigillate.
Hanno scoperto, inoltre, che le mascherine di cotone, quelle chirurgiche e le N95 hanno tutte un effetto protettivo rispetto alla trasmissione di aerosol infettivo di Sars-CoV-2 e che l’efficienza protettiva contro il Covid è maggiore quando la mascherina è indossata da chi può diffondere il virus.
Ma c’è di più: l’allarme attuale arriva da Adiconsum Veneto. L’Associazione Difesa Consumatori e Ambiente ha esaminato diversi lotti di mascherine sequestrate dalla Guardia di Finanzia di Padova perché prive di documentazione. Le indagini di Adiconsum hanno riscontrato – nel 70% delle mascherine analizzate – la presenza di grandi quantità di biossido di Titanio, sostanza chimica utilizzata come conservante anche nel campo alimentare che si presenta sotto forma di polvere cristallina quasi incolore, tendente al bianco.
Su 700 mascherine tra chirurgiche, FFP2 e in cotone, in circa 450-500 esemplari è stato ritrovato biossido di Titanio in quantità variabile da 100 ppm a 2000 ppm (ppm corrisponde a mg/Kg). La quantità maggiore in quelle bianche e sulle parti interne. In generale, comunque, i livelli più alti dell’agente tossico sono stati rinvenuti in quelle chirurgiche:
“…Siamo partiti con test di laboratorio che hanno certificato la presenza in grandi quantità di biossido di Titanio – ha spiegato il segretario Adiconsum Veneto, Stefano Franceschetto – tutti i prodotti hanno schede tecniche che ne determinano caratteristiche e provenienza, cosa che invece non succede con le mascherine. Si va, si compra e si indossa nell’incertezza che questi presidi siano adeguati. Andrebbe introdotta una scheda e norme di legge per la presenza del biossido…”.
La notizia ha scatenato moltissime reazioni preoccupate ma va precisato che quel 70% di mascherine su cui è stato ritrovato biossido di Titanio si riferisce al campione di protezioni naso-buccali analizzato e sequestrato dalla Guardia di Finanza perché irregolare, e non a tutte quelle in circolazione.
Questo fatto ci aiuta, ancora una volta, a raccomandare l’acquisto di mascherine a norma, indicate col marchio CE se chirurgiche o FFP2. Il biossido di Titanio è una sostanza sulla quale, ad oggi, esistono diversi studi controversi. L’E171 è un composto chimico definito nel 2006 dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul Cancro come “possibile cancerogeno per l’uomo” quando inalato.
Anche l’Ue, in un documento pubblicato nell’ottobre scorso, ha classificato il biossido di Titanio, sempre se inalato, come “probabilmente cancerogeno”. In Francia, ad esempio, è stata recentemente vietata la commercializzazione degli alimenti contenenti questo pericoloso composto chimico.
Oltralpe la decisione è arrivata dopo che nel 2017 una ricerca dell’Istituto nazionale francese per la ricerca Agronomica (Inra) aveva mostrato che l’esposizione cronica al biossido di Titanio tramite ingestione “provocava stadi precoci di cancerogenesi”. Siamo a cavallo, non c’è che dire.
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