Marco Manzini uccise la moglie nel 2009 a Sassuolo, nel Modenese, e fu condannato a oltre 19 anni. La madre della vittima: “Ricevute solo somme irrisorie, ma lo Stato ci chiede di pagare”.
Modena – Giulia Galiotto fu uccisa dal marito Marco Manzini nel 2009 a Sassuolo (Modena). Dopo una condanna definitiva a 19 anni e quattro mesi di reclusione, l’omicida ha terminato di scontare la pena nel luglio 2024 ed è oggi un uomo libero. Ma per i familiari della vittima il dolore non si è fermato alla tragedia: non solo non hanno mai ricevuto il risarcimento stabilito dal tribunale, ma ora devono anche affrontare una richiesta fiscale su una somma mai incassata.
Manzini, che ha beneficiato di riduzioni di pena per buona condotta, è uscito dal carcere nel 2022 in regime di semilibertà, lavorando ai servizi sociali fino alla definitiva scarcerazione. La giustizia aveva stabilito per la famiglia di Giulia un risarcimento di 1,2 milioni di euro, ma la somma non è mai stata versata. Manzini aveva offerto alla famiglia della vittima un pagamento simbolico di 50 euro al mese, proposta che i genitori di Giulia hanno rifiutato con fermezza.
Durante il periodo di messa alla prova, Manzini aveva un impiego a tempo pieno e il tribunale aveva autorizzato il pignoramento di un quinto del suo stipendio. Tuttavia, con la fine della pena e la sua decisione di lasciare il lavoro, la famiglia di Giulia ha perso anche questa esigua fonte di risarcimento. Attualmente, non si hanno informazioni su un suo nuovo impiego.
Come se non bastasse, ai genitori e alla sorella di Giulia sono state notificate cartelle esattoriali da circa 6.000 euro ciascuna, legate proprio al risarcimento mai percepito. “Abbiamo ricevuto solo somme irrisorie, e ora ci chiedono di pagare le tasse su un risarcimento inesistente”, denuncia Giovanna Ferrari, madre della vittima.
La madre di Giulia Galiotto sottolinea come questo meccanismo fiscale rappresenti un’ulteriore ingiustizia. “Oltre al dolore della perdita, dobbiamo subire la violenza economica di un sistema che impone tasse su denaro mai ricevuto. Noi possiamo permetterci di affrontare questa battaglia legale, ma molte famiglie meno abbienti rinunciano alla giustizia per evitare problemi economici simili”.
La sera dell’omicidio, Manzini attirò Giulia con una scusa, colpendola ripetutamente alla testa con una pietra prima di gettare il corpo nel fiume Secchia per simulare un suicidio. In seguito, tentò di depistare le indagini fingendosi preoccupato per la scomparsa della moglie, ma la verità emerse rapidamente e portò alla sua condanna definitiva.
Oggi, a distanza di anni, la libertà del colpevole e le difficoltà della famiglia di Giulia sollevano interrogativi su un sistema giudiziario che, pur punendo i colpevoli, sembra lasciare indietro le vittime e i loro cari.