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Nuovo stile politico cercasi

La dialettica nello scontro politico si fa sempre più virulenta. Spesso l’avversario di turno, con poco stile, viene presentato alla stregua di un vero e proprio nemico da combattere ed eliminare. Ma tale modus agendi nuoce a tutto il sistema.

Roma – L’esasperazione dei toni polemici promossa e alimentata da alcuni settori del mondo politico non dovrebbe stupire più di tanto. Ed i precedenti non mancano. Eppure non dovrebbe essere sottovalutata. Fra le caratteristiche salienti della democrazia c’è l’obbligo di praticare la discussione pubblica secondo un sistema di regole del gioco che non contempla, anzi esclude, l’iniqua discriminazione dell’avversario. La politica non è la guerra e vincere una competizione attraverso la persuasione preclude la possibilità di eliminare un nemico o farne un perdente sottomesso. Tuttavia, si tratta di una tentazione ricorrente, perché la costruzione del nemico agisce come un tonico di cui leader irresponsabili hanno bisogno per nascondere i loro fallimenti e rafforzare i loro messaggi.

L’idea che la politica sia una forma di antagonismo radicale costruito sulla polarità amico/nemico finisce per considerare gli avversari politici come minacce da togliere di mezzo. E se le minacce che rappresentano diventano esistenziali, allora ogni strumento a disposizione per combatterle diventa automaticamente lecito. La moderazione viene così scambiata per debolezza, la prudenza per viltà, il dialogo per cedimento. La politica dell’inimicizia, che si prefigge lo scopo di negare all’avversario lo status di amico fazioso per trasformarlo in nemico, tende quasi inevitabilmente a scadere in attacchi velenosi e personali o in aggressioni verbali. Gli attacchi alla storia e alla biografia personale dell’avversario sono progettati per fare in modo che, quando qualcuno presenta le sue idee e i suoi progetti, gli ascoltatori siano spinti a non prestargli ascolto, perché sono stati preventivamente indotti a credere che di lui non ci si possa fidare.

Uno scontro tv tra Conte e Letta.

È a questa logica politica che si deve all’adozione di un linguaggio in cui prevalgono giudizi personalizzati sugli interlocutori anche a prescindere dalla loro collocazione ideale, così da delimitare il campo politico tra chi è e chi non è un “amico” del popolo o un vero “patriota” o “partigiano”. Ed è in questo modo che l’avversario, da legittimo protagonista della competizione politica, si trasforma in un nemico che va escluso dall’arena pubblica in cui si svolge il confronto democratico tra posizioni diverse e concorrenti. Quando i partiti politici sono ben finanziati e organizzati, si può contare sulle loro risorse per indurre i potenziali candidati all’osservanza dei rituali del rispetto e della moderazione, ma quando i partiti sono deboli è più probabile che gli attori politici pensino a se stessi non come a potenziali funzionari pubblici investiti di responsabilità nei confronti del sistema democratico, ma come a imprenditori impegnati in uno scontro per la conquista del potere che può essere condotto senza esclusione di colpi.

L’ipocrisia, in tal modo, sarà pure un ripiego, ma un necessario viatico se si vuole impedire che la lotta politica finisca per immettere ostilità nella vita pubblica e dividere la società in schieramenti contrapposti, ciascuno dei quali evita la possibilità di aprirsi alle ragioni dell’altro. Ancora un esempio: se per assicurarsi un incarico ministeriale dipende dalla formazione di una coalizione con uno o più partiti diversi o forse anche rivali, allora si creano incentivi sostanziali a esercitare una forma di autocontrollo e di moderazione. Questo non significa che il vincitore debba rinunciare a un certo grado di intransigenza, poiché il dialogo deve comunque interrompersi a un certo punto, ma ciò non dovrebbe mai far venire meno il rispetto nei confronti dell’avversario.

Una rissa a Montecitorio.

È comunque nell’interesse di tutti contenere la lotta partitica rispettando le regole del gioco democratico, che permettono la coesistenza di un pluralismo delle opinioni e la loro trasmissione dalla società alle istituzioni dello Stato. Non sarebbe male chiedersi se, per esempio, non siano anche le ripetute manifestazioni di deterioramento del linguaggio politico a incentivare l’astensionismo e la sfiducia per la politica.

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