Nordio annuncia: “Presentazione del ddl su separazione delle carriere è imminente”

Nonostante i venti contrati dell’Associazione nazionale magistrati e di Bruxelles il Guardasigilli tira dritto verso l’obiettivo.

Roma – A febbraio, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti, il ministro della Giustizia Carlo Nordio lo aveva anticipato: “La separazione delle carriere è nel nostro programma di governo, si farà. Per farla bene serve una revisione costituzionale e una radicale revisione del Csm, invece se fatta con legge ordinaria non si ottengono gli stessi risultati. La scelta politica del governo è stata quella di dare la preminenza al premierato, siccome le due riforme non possono viaggiare insieme la separazione delle carriere è posticipata ma non di molto. Non attenderemo l’esito del premierato”, aveva assicurato. E ora torna sull’argomento. “La presentazione del ddl sulla separazione delle carriere dei magistrati è imminente”, dice ai cronisti in Transatlantico alla Camera.

Come aveva detto, “politicamente si è deciso che il premierato è una priorità: e siccome sarà molto probabilmente soggetta a referendum accorpare i due referendum potrebbe creare confusione e vulnerare entrambe le proposte”. Questa è “l’unica ragione per cui la separazione delle carriere è rallentata, evitare la concomitanza dei due referendum”. E alla domanda del presidente dell’Unione delle camere penali,
Francesco Petrelli, se la proposta del governo si discosterà da quella che i penalisti hanno depositato in Parlamento, il ministro ha risposto che “potrebbe essere molto simile”. Da qui si delinea un quadro di come potrebbe essere la riforma.

Proprio l’Unione camere penali, nel 2017, raccolsero oltre 70mila firme di cittadini su questo tema che è da sempre, governo dopo governo, terreno di scontro e resistenze. La legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare per la realizzazione della separazione delle carriere, promossa dall’Unione delle Camere Penali ha accelerato un percorso parlamentare più volte costretto a uno stop and go.

Dunque è vicina la presentazione di un disegno di legge costituzionale volto a separare le carriere dei magistrati inquirenti da quelle dei giudicanti. Il provvedimento, atteso da tempo in alcuni ambienti giuridici e politici, rappresenta un possibile punto di svolta per la magistratura del Paese. Attualmente, in Italia, magistrati inquirenti (i pubblici ministeri) e giudicanti condividono la stessa carriera, una peculiarità del sistema giudiziario nazionale che ha spesso sollevato dubbi e perplessità. La critica principale a questo sistema è che la commistione tra i ruoli può potenzialmente incidere sull’indipendenza e sull’imparzialità dei giudici, elementi fondamentali per la corretta amministrazione della giustizia.

Il dibattito politico dovrà poi focalizzarsi su come attuare concretamente la separazione delle carriere, quali meccanismi di controllo e bilanciamento mettere in atto, e le eventuali implicazioni finanziarie e organizzative della riforma. Se da una parte il progetto riscuote approvazioni, non mancano le voci critiche che mettono in luce preoccupazioni legate alla possibile rigidità di un sistema così diviso, alla necessità di mantenere un’adeguata formazione e competenza per entrambe le carriere, e alle possibili ripercussioni sulle dinamiche interne alle procure e al funzionamento della giustizia nel suo insieme.

Oltre all’Associazione nazionale magistrati che è sulle barricate, anche l’Europa è entrata a gamba tesa nel dibattito. Lo zampino di Bruxelles, di certo un assist clamoroso per le toghe che vedono il diavolo dietro questa riforma, è del commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders, che dando conto del rapporto Ue sullo stato di diritto in Italia di cui si è discusso al Consiglio Affari generali, ha lanciato la mina. “Alcuni stakeholder – interviene – hanno espresso preoccupazione riguardo ai progetti di legge riguardanti la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri e alla riforma della procura, che sono ancora in discussione. Allo stesso tempo, la durata dei procedimenti in Italia rimane una sfida piuttosto seria da affrontare”.

Non sorprende di certo la posizione di Reynders sulla questione, viste le sue grandi differenze con le vedute politiche di Fratelli d’Italia e con il Guardasigilli Carlo Nordio che è stato scelto proprio dal partito di Giorgia Meloni per riempire i tasselli delle riforme della Giustizia. L’ex ministro degli Esteri del Belgio, che ora è euroministro della Giustizia proviene infatti dal Movimento riformatore -partito che ha guidato in prima persona dal 2004 al 2011 – di impronta liberale ma che ha visto anche per un periodo lo schierarsi del Fronte democratico dei francofoni.

Quello che invece sorprende è che ora il tema abbia varcato anche la soglia del Parlamento europeo. Ma come mai? Come sempre dietro alle invettive – seppur velate – ci sono ragioni politiche. Il contesto come si sa è pre-elettorale. Le Europee sono dietro l’angolo e Reynders che ha un orientamento politico lontanuccio dal governo italiano ha pensato bene di tirare la stoccata. Ma Nordio va dritto per la sua strada, e l’arrivo alla tanto agognata riforma è vicino alla meta.

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