A mettere nero su bianco il dato è Reporter senza frontiere. Al primo posto c’è la Cina con 115 casi, l’Iran è in settima posizione.
Roma – L’ultimo caso che ha visto l’arresto della giornalista italiana Cecilia Sala è solo la punta dell’iceberg. Nel 2024 sono stati imprigionati nel mondo 553 operatori dell’informazione, dei quali 528 giornalisti. Dati che vengono messi nero su bianco nell’ultimo rapporto di Reporter senza frontiere. Al primo posto c’è la Cina con 115 casi, seguita da Myanmar con 70 e Bielorussia con 52. Quarta la Russia con 47 cronisti incarcerati, poi Israele con 46 e il Vietnam con 39. In settima posizione, con 35 operatori dei media finiti dietro le sbarre, c’è l’Iran dove si trova in isolamento, nel penitenziario simbolo di Evin, anche Cecilia Sala. Si trova in una cella singola ed è in buone condizioni di salute, come ha raccontato il ministro degli Esteri Tajani.
Prima di Cecilia, una blogger italiana aveva varcato le porte del penitenziario di Evin. Alessia Piperno, arrestata il 28 settembre del 2022 in Iran. Prelevata dalle autorità iraniane mentre si trovava nel Kurdistan iraniano per documentare il suo viaggio durante uno dei momenti più difficili per la Repubblica islamica dell’Iran: la protesta antigovernativa contro il velo obbligatorio seguita alla morte di Mahsa Amini. La sua presenza fu considerata ambigua, insieme a lei furono arrestati altri stranieri che sono ancora dentro, ha ricordato Piperno in questi giorni. La blogger fu rilasciata solo dopo 45 giorni, il 10 novembre del 2022 dopo un intenso lavoro diplomatico tra la diplomazia italiana e quella iraniana, con l’aiuto dei servizi segreti. “In cella sono stati 45 giorni duri” disse allora, mentre riabbracciava il padre Alberto all’aeroporto di Ciampino. Raccontò che non aveva vestiti per cambiarsi, che non poteva parlare con nessuno.
Nella lunga lista delle “manette alla stampa”, un caso emblematico è anche quello di Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace 2023, che ha dedicato la sua vita alla lotta contro l’oppressione delle donne in Iran. Arrestata tredici volte e condannata a oltre 31 anni di reclusione, Mohammadi rappresenta il coraggio e la determinazione di molti giornalisti e attivisti che sfidano regimi oppressivi. La sua recente sospensione della pena per motivi di salute ha riacceso l’attenzione sulla sua situazione e su quella di molti altri detenuti politici. La comunità internazionale è chiamata a intervenire e a fare pressione affinché i diritti umani siano rispettati e i giornalisti liberati.
Rsf segnala che 55 giornalisti sono tenuti in ostaggio, con la Siria che detiene il numero più alto di casi, seguita da Iraq, Yemen, Mali e Messico. La Federazione nazionale della stampa e la Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj) hanno lanciato un appello alle autorità iraniane per la liberazione immediata di Cecilia Sala, denunciando la strategia del regime di utilizzare i giornalisti come strumenti di negoziazione. La situazione è critica e richiede un’azione collettiva da parte della comunità internazionale per garantire la libertà di stampa e la sicurezza degli operatori dell’informazione. L’organizzazione non governativa e no profit con sede a Parigi, consulente dell’Onu, monitora, aggiorna e denuncia costantemente gli attacchi contro la libertà di informazione, inserendo nelle sue statistiche i casi documentati di morte o incarcerazione collegati proprio all’attività giornalistica.
Sul caso di Cecilia Sala è incognita sui tempi di rilascio mentre ancora sono sconosciute le accuse per le quali la cronista si trova in isolamento nel carcere di Evin da oltre 10 giorni. A dirlo è stato ieri sera il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ospite a Zona Bianca. Sulla vicenda intanto intervengono anche gli Stati Uniti, con il dipartimento di Stato Usa che ha parlato di “arresto ingiustificato”, chiedendo che Sala “venga subito liberata”. I tempi per il rilascio di Sala “non sono ipotizzabili, perché la trattativa è molto delicata e non è facile. Noi facciamo tutto il possibile perché i tempi siano brevi ma non dipende dall’autorità italiana, la situazione è abbastanza complicata per questo abbiamo chiesto il massimo riserbo”, ha spiegato Tajani.
“Ancora non è stato formulato il capo d’imputazione” per Cecilia Sala. “I tempi sono quelli che sono però abbiamo notato una certa disponibilità soprattutto per quanto riguarda il trattamento” come detenuta, le parole del ministro. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni sta seguendo la vicenda sin dal giorno del fermo il 19 dicembre, al fine di riportare a casa Cecilia Sala al più presto. D’accordo con i suoi genitori, tale obiettivo viene perseguito attivando tutte le possibili interlocuzioni e con la necessaria cautela, che si auspica continui a essere osservata anche dai media italiani”. Si legge in una nota di palazzo Chigi.
Sono tanti i reporter e giornalisti alla sbarra in tutto il mondo: tra i primi dieci posti in classifica, in ottava posizione troviamo l’Arabia Saudita con 26 operatori finiti in carcere, poi la Siria con 25 e l’Egitto con 23. Numeri a due cifre anche in Azerbaigian (21 giornalisti imprigionati nel 2024), Afghanistan e India (20), Kirghizistan (18), Eritrea (14), Turchia e Hong Kong (12). A maggio scorso la classifica annuale di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa mostrava una fotografia impietosa dell’Italia, che si è piazzata ben al 46esimo posto. Il rapporto, diffuso nella Giornata mondiale dedicata proprio alla libertà di stampa, ha analizzato 180 Paesi in base alla capacità dei giornalisti di lavorare liberamente e in modo indipendente.
“Buono” il giudizio sui paesi UE. Norvegia, Danimarca e Svezia ai primi tre posti, mentre il nostro Paese sprofonda nel baratro della non libertà. La premessa è che in tutto il mondo la libertà di stampa è minacciata proprio da coloro che dovrebbero esserne garanti: le autorità politiche. Cinque gli indicatori utilizzati per stilare la classifica, ed è quello politico a subire il calo maggiore, registrando un calo medio globale di 7,6 punti. Ebbene, i governi non riescono a proteggere il giornalismo: un numero crescente autorità politiche – secondo il report – non stanno adempiendo al proprio ruolo di garanti per il giornalismo e del diritto del pubblico a notizie e informazioni affidabili, indipendenti e diversificate. RSF vede un preoccupante calo del sostegno e del rispetto per l’autonomia dei media e un aumento della pressione da parte dello Stato o di altri attori politici.