L’organo di autogoverno della magistratura porterà il nome del docente ucciso nell’80 alla Sapienza, davanti alla sua assistente Rosy Bindi.
Roma – Dal ’62 Palazzo dei Marescialli è sede storica del Consiglio Superiore della Magistratura in piazza Indipendenza. Ma da oggi sarà intitolato a Vittorio Bachelet, giurista, politico e vicepresidente del Csm ucciso nel 1980 dalle Brigate Rosse in un agguato alla Sapienza. Per la verità la grande sala dove si svolge il plenum del Consiglio era già dedicata al professore universitario e ex presidente dell’Azione Cattolica. Era il 12 febbraio di 44 anni fa quando il docente, che aveva 54 anni, fu assassinato sulla scalinata della facoltà di Scienze Politiche dell’ateneo romano.
Presente alla cerimonia di intitolazione del Csm a Bachelet, il capo dello Stato Sergio Mattarella, che presiede anche lo stesso Consiglio. E ha ricordato il suo essere “uomo del dialogo”: questa, ha voluto sottolineare il presidente della Repubblica, “è stata, sin dall’inizio, la caratteristica della sua attività politica e sociale. Già nel 1946, a vent’anni, da studente, dirigente della Fuci, ricercava sempre il confronto dialettico con le altre componenti universitarie in vista della ricostruzione dell’Italia democratica. “Con nessuno dei nostri simili – scriveva – abbiamo il diritto di rifiutarci o di essere pigri nel gettare il ponte”.
Quale vicepresidente del Csm, ha ricordato Mattarella, è stato “testimone autentico dei valori della nostra Costituzione. Si adoperava costantemente per la ricerca di prospettive condivise anche in considerazione delle fratture ideologiche che attraversavano il nostro Paese. Il dialogo è stato sempre un tratto distintivo del suo impegno nella società profuso lungo l’intero arco della sua vita, nelle organizzazioni cattoliche, nell’insegnamento nelle aule dell’università, nel Csm, in ogni altra attività pubblica. Il dialogo rappresentava per lui, più che un metodo, l’essenza della democrazia”.
Eppure la ricerca del confronto, ha aggiunto il Capo dello Stato, “non era strada agevole e, talvolta, da taluno neppure apprezzata, in una stagione tra le più tormentate e conflittuali della storia repubblicana, dove non soltanto le parole e le ideologie si facevano più aspre, ma la violenza delle armi pretendeva di farsi strumento di lotta politica, elevando gruppi criminali a soggetto politico“. Infatti, la storia ci racconta della sua fine drammatica, che non molti conoscono. C’è però una esponente politica che ricorda più di altri i minuti tragici dell’attentato. Rosy Bindi, che era la sua assistente e in quel 12 febbraio dell’80, al termine di una lezione, Bachelet stava conversando con lei.
Pochi attimi in cui un nucleo armato delle Br, sul mezzanino della scalinata che porta alle aule professori della facoltà di scienze politiche della Sapienza, si è diretto verso di lui colpendolo a morte con sette proiettili di una calibro 32 Winchester. A sparare furono prima Anna Laura Braghetti e poi Bruno Seghetti. Due giorni dopo se ne celebrano i funerali nella chiesa di San Roberto Bellarmino di Roma, e oggi riposa nella tomba di famiglia nel cimitero Flaminio.
Uno dei due figli, Giovanni, all’epoca 25enne, durante la preghiera dei fedeli, pronuncia queste parole: “Preghiamo per i nostri governanti: per il nostro presidente Sandro Pertini, per Francesco Cossiga. Preghiamo per tutti i giudici, per tutti i poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia, per quanti oggi nelle diverse responsabilità, nella società, nel Parlamento, nelle strade continuano in prima fila la battaglia per la democrazia con coraggio e amore. Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”.
Parole che scuotono un’Italia già attonita dal sangue e dalle tensioni sociali, dal piombo, dalla violenza senza pietà. A soli due anni dal sequestro e dall’assassinio, sempre da parte dei brigatisti, di Aldo Moro. E quel ricordo impresso nella mente di Rosy Bindi, ex ministra ed ex presidente dell’Antimafia. Ha raccontato più volte di quel ricordo. Il suo maestro. “La brigatista Braghetti – ha raccontato – si avvicinò a lui fingendosi studentessa e gli sparò. Non ho mai voluto incontrarla. Ero con lui sulle scale della facoltà, ricordo ancora il suo grido e e l’odore dello sparo. Non aveva voluto la scorta per non far morire altri innocenti”.
E ancora, Rosy Bindi non dimentica, non ha mai dimenticato, le ultime parole del maestro Bachelet. “Le ultime parole furono: ‘Io quasi quasi andrei’. Cosa intendeva dire? Tornarsene al Consiglio superiore della magistratura o spostarsi nell’aula magna dove Stefano Rodotà e Luciano Violante stavano discutendo del terrorismo con gli studenti? Me lo sono chiesta tante volte in questi quarant’anni”. La verità non la sapremo mai.
Oggi il Csm porterà il nome di Bachelet. Il ricordo di chi oggi veste i suoi panni, Fabio Pinelli, attuale guida del Consiglio, si trasforma in un monito: “Ogni magistrato – sottolinea con forza – deve sentire il compito di custodire, nell’esercizio quotidiano della funzione, la fiducia dei cittadini nella Giustizia. Equilibrio, sobrietà di comportamenti dentro e fuori le aule di giustizia, prudenza e rigore nell’interpretazione della legge, capacità professionale sempre sorvegliata ed arricchita, sono i tratti irrinunciabili del magistrato di oggi e di domani, il corredo delle modalità di un esercizio corretto della funzione”.
E ancora, il vicepresidente prosegue il suo discorso, sempre rivolto in particolare alle toghe: “Un magistrato – ha aggiunto – che deve porre la sua cultura, passione e sensibilità al servizio del Paese e dei cittadini, e deve essere consapevole di essere classe dirigente e parte fondamentale del mondo istituzionale”. Di più. Deve essere “consapevole della necessità del proprio contributo all’inveramento dei principi costituzionali e, per questa via, alla difesa dei valori della democrazia e dello Stato di diritto”. Per questo, Pinelli ha ribadito che “il Csm non è solo al fianco dei magistrati, ma è la ‘casa di tutti i magistrati'”.
Il direttivo di Unicost, la corrente togata di Unità per la Costituzione, interviene nel dibattito su Bachelet puntando l’attenzione sull’importanza che il Csm abbia “deciso di rinominare la propria sede, quel Palazzo dei Marescialli che richiamava un grado militare creato dal governo fascista” al docente ucciso dalle Br. “Il magistero del professore si ispirava al confronto fra generazioni, in un momento tumultuoso, caratterizzato da violenza terroristica e disorientamento, nella convinzione che dai giovani potesse venire una diversa chiave di lettura del reale, e che il dialogo andasse sempre coltivato. Va dato merito al Csm per questa scelta, che deve andare ben oltre la forma, rappresentando l’auspicio del recupero di uno stile e di un metodo”, sottolineano le toghe di Unicost.