No Ponte condannati a pagare 340mila euro a società Stretto: “Non ci arrendiamo”

Il tribunale delle imprese ha dichiarato inammissibile l’azione inibitoria collettiva promossa da 104 cittadini contro il progetto.

Roma – Giorni fa una sentenza del tribunale delle imprese ha dichiarato inammissibile l’azione inibitoria collettiva promossa da 104 cittadine e cittadini contro il progetto del Ponte sullo Stretto, condannandoli a pagare le spese inflitte dal tribunale: 340mila euro a favore della società Stretto di Messina. Una “decisione che lascia sgomenti, non solo per l’esito, ma soprattutto per la spropositata condanna”, dicono in una nota i No Ponte della sponda calabrese, che dichiarano di essere pronti ad avviare una raccolta fondi a favore dei ricorrenti.

“Una cifra enorme e priva di trasparenza sui criteri di calcolo, sui parametri adottati o sulle attività legali rimborsabili – proseguono gli attivisti – Questo macigno economico produce inevitabilmente l’effetto di intimidire non solo chi ha intrapreso questa battaglia legale, ma tutte e tutti coloro che si oppongono a un’opera inutile, dannosa e priva di un progetto esecutivo credibile. Ma nonostante la pesante pronuncia i No Ponte non si arrendono e promettono battaglia. “Nonostante il colpo subìto ribadiamo con forza la nostra determinazione a proseguire nella lotta contro il progetto del Ponte sullo Stretto – aggiungono -. Ci opporremo alla condanna alle spese, promuovendo la partecipazione attiva e l’opposizione al Ponte, sia attraverso le azioni legali sia con le iniziative di piazza che il Decreto Sicurezza tenta di limitare. E lo faremo contando sul sostegno dell’opinione pubblica, che negli anni ha dimostrato di essere ampiamente contraria a questo scellerato spreco di risorse pubbliche“.

Il comitato “Invece del ponte” ha più volte ribadito la propria posizione contraria e contestato le tesi della società Stretto di Messina. Per il comitato, il ponte che si vuole realizzare per collegare la Calabria alla Sicilia “è un’opera in perdita”. Si legge in un documento che hanno stilato nei mesi scorsi: “L’analisi costi e benefici è metodologicamente sbagliata e i suoi risultati sono falsati da errori di impostazione, modalità di calcolo, omissioni o contraddizioni. Quindi la valutazione dell’opera è errata e fuorviante. Non rispetta i criteri stabiliti dalla Bei (Banca europea degli investimenti). Ed è irrealistica nella previsione che possa sostituire interamente il traghettamento, sovrastima il risparmio di tempo e il ritorno occupazionale”.

A conti “rifatti” l’analisi costi benefici va in perdita per svariati miliardi”. Continua Invece del ponte: “Il beneficio occupazionale è calcolato in modo omissivo o contraddittorio. Per gli 8 anni di lavorazione si stima nuova occupazione per 540 milioni di euro fino al 2032: circa 2.600 lavoratori/anno. Però l’analisi costi benefici vale fino al 2062 e presuppone che tutti i servizi traghetto vengano soppressi. Almeno 1.200 posti di lavoro cancellati dal 2032. L’occupazione perduta non è compensata dai lavoratori della gestione e manutenzione del ponte. Il “beneficio occupazionale diventa negativo per un valore compreso fra 4,7 milioni e 1,2 miliardi, con perdita compresa fra 550 milioni e 1,7 miliardi”.

Il comitato “Cittadini per lo sviluppo sostenibile dell’area dello Stretto di Messina”, fa notare che lo scenario ponte è “costruito in base all’ipotesi irrealistica che lo stesso sostituirà interamente il traghettamento. Sia i privati, sia l’Autorità portuale hanno dichiarato al Parlamento, al Comune e alla stampa che i loro servizi rimarranno perché una parte non irrilevante di passeggeri continuerà a usare le navi. Per questo, insistono, la “domanda del ponte” è sovradimensionata. Anche il “risparmio del tempo” (8,9 miliardi) è “molto sovrastimato: un minor numero di passeggeri di quello previsto risparmierà un tempo inferiore rispetto a quanto ipotizzato. Ci sono almeno 2,5-3,5 miliardi di troppo”.

Infine, “il risparmio ambientale è mal calcolato. L’ipotesi che si azzeri il traffico delle navi sullo Stretto è irrealistica e le navi che interverranno nei prossimi anni – sostengono i comitati cittadini – saranno molto meno impattanti di quelle attuali, per cui il risparmio sull’ipotesi senza ponte si riduce di molto”. Il parametro di 800euro/ton per valutare l’impatto del CO2 è irrealistico e usato per ben altri tipi di analisi. Lo stesso “costo di investimento” non è chiaro: da 13,5 miliardi si passa a 12,9 per tener conto del “beneficio occupazionale” (in realtà negativi). Poi però nella tabella finale questo costo diventa 12 miliardi, con la scomparsa di quasi 1 miliardo non commentata e non giustificata. Non sono calcolati altri effetti esterni, come i riflessi negativi sul traffico navale da/verso Gioia Tauro e Sicilia.

A sostenere i comitati No Ponte in questa battaglia ci sono le associazioni ambientaliste: Legambiente, Lipu e WWF Italia hanno presentato un ricorso al TAR del Lazio per contestare il “parere favorevole con prescrizioni” espresso dalla Commissione VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) riguardo al Ponte sullo Stretto di Messina. Le associazioni sottolineano come tale decisione sia stata presa “nonostante il parere negativo” emerso dalla Valutazione di Incidenza, evidenziando “carenze significative” nelle analisi condotte. Secondo le tre associazioni, il parere positivo è “illogico” e contraddittorio rispetto alla Valutazione di Incidenza negativa. Inoltre, osservano che le richieste di ulteriori analisi e approfondimenti, specialmente per quanto riguarda le misure di mitigazione e compensazione, avrebbero dovuto essere parte integrante del progetto definitivo, e non rinviate alla fase esecutiva successiva all’affidamento dei lavori.

Inoltre il WWF si sta muovendo anche con un ricorso all’Unione europea. Lo ha reso noto la stessa ong con un comunicato, in cui argomenta che i “temi per un reclamo comunitario sono tre: ossia l’assegnazione dell’opera senza gara di appalto avvenuta grazie ad una sottostima dei costi, la violazione delle direttive Habitat e Uccelli e quindi delle normative su Rete Natura 2000, la mancata applicazione della procedura di Valutazione Ambientale Strategica”. Il Wwf Italia “studierà con attenzione il parere VIA”, si legge sul sito della ong, “ma è chiaro che le critiche degli ambientalisti non erano infondate tant’è che ci sono, per quanto è dato di sapere, almeno 60 prescrizioni che riguardano tutti gli aspetti ambientali coinvolti dal progetto”.

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