Nella morsa delle crisi industriali: a Trieste il caso Flex, 350 lavoratori a rischio

Il presidente Fedriga scrive all’ambasciata Usa. “Vertenza non in linea con i buoni rapporti tra i nostri due Paesi”. Tavolo al Mimit.

Trieste – Se il 2024 è stato a detta di molti l’anno nero dell’industria, il 2025 non vede sfondi rosei all’orizzonte. Il braccio di ferro su Stellantis, il caso ex Ilva, e ora la crisi della Flex, dove sono in pericolo i 350 occupati (273 diretti e 77 indiretti) dello stabilimento di Trieste. Lo stabilimento delle Noghere che produce componentistica elettronica è di proprietà della multinazionale americana Manifacturing. Ora scoppia un caso diplomatico, con il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che ha scritto una lettera all’ambasciata Usa a Roma. Nella lettera Fedriga avrebbe fatto presente i buoni rapporti che da sempre intercorrono con gli Stati Uniti. E’ dunque alla luce di questi che lo sviluppo della vertenza della Flex non appare in linea, non sembra coerente con le preesistenti ottime relazioni con il Paese.

Intanto, un tavolo ministeriale sulla vertenza è stato convocato al ministero del Made in Italy per martedì 28 gennaio. Alla riunione dovrebbero partecipare esponenti dell’azienda, Regione Fvg, Confindustria Alto Adriatico, rappresentanti del fondo FairCap e le organizzazioni sindacali. Il tavolo segue appunto all’ultima convocazione del 18 novembre scorso. In quell’occasione nel tavolo al Mimit si appreso del pre-accordo di vendita con il fondo di private equity FairCap per la cessione del 100 per cento della società Manufacturing srl, con il quale si trasferisce la proprietà della Flex dalla multinazionale americana al fondo tedesco. Una pre-vendita avvenuta nonostante le assicurazioni precedenti di un processo di riconversione industriale a Trieste con il sostegno della corporate, non volendo procedere ad azioni unilaterali.

Massimiliano Fedriga

In aggiunta, il fondo avrebbe parlato immediatamente di “esuberi strutturali”, da gestire con gli strumenti di legge. L’azione di Fedriga è solo l’ultima di una serie di dure contestazioni lanciate sia dai suoi assessori che dai sindacati. I responsabili regionali del Lavoro, Alessia Rosolen, e delle Attività produttive, Sergio E.Bini, parlando di “mancanza di responsabilità” lasciando intendere che la vendita al fondo tedesco non può che essere “uno scouting evidentemente già avviato da tempo”. E poi ci sono i sindacati, che già a dicembre avevano definito “inconsistente” la proposta FairCap. Per questo sono scesi in piazza a dicembre a difesa dei posti di lavoro.

Sono ben 34 i tavoli di crisi attivi al ministero delle Imprese e del Made in Italy. Dei 34 tavoli 26 sono in monitoraggio, ma solo tra Ilva e Stellantis – che ora iniziano a contendersi il titolo di ‘madre di tutte le vertenze – si contano 12mila cassaintegrati. Pino Gesmundo – il segretario confederale Cgil a capo dell’area delle politiche industriali – ha snocciolato i dati del sindacato sui lavoratori coinvolti dai tavoli di crisi, raddoppiati in un anno. Con un “tessuto industriale impoverito”, avverte, servono “scelte diverse delle imprese e dei governi”. Nel 2024 “sono enormemente aumentati i tavoli presso l’unità di crisi al Mimit: sono 105.974 i lavoratori coinvolti. A gennaio erano 58.026”.

“Negli ultimi tre decenni – rileva il segretario confederale Cgil che ha la delega su politiche industriali e energetiche, infrastrutture e trasporti, aree di crisi – a guidare le scelte industriali sono state le multinazionali e i fondi speculativi, che hanno fatto shopping di imprese nel nostro Paese, spesso a basso costo e usufruendo di benefici ed agevolazioni governative, con il totale disimpegno della politica e dello Stato”.

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