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Nel nome del padre: i Giuliano e la “mafia dei due mondi”

Il padre Boris fu il primo investigatore a seguire i traffici tra Sicilia e USA, ieri il figlio Alessandro, a capo della Dac, ne ha raccolto il testimone.

Milano – Quando la mafia gli ha ucciso il padre – era il 21 luglio 1979 – Alessandro Giuliano aveva soltanto 12 anni. Da grande è diventato un poliziotto, come il papà e ieri, a capo della Direzione centrale anticrimine della Polizia, ha contribuito a rivelare i nuovi legami malavitosi tra le famiglie di New York e i siciliani, l’inossidabile ponte di Cosa nostra gettato attraverso l’oceano, quella pista investigativa che per primo il padre, Boris Giuliano, aveva intuito e battuto.

Investigatore moderno capace di rivoluzionare il lavoro della Polizia, il capo della Squadra Mobile Boris Giuliano venne ucciso con sette colpi di pistola la mattina del 21 luglio 1979 mentre stava pagando il caffè al bar “Lux”, in via Di Blasi a Palermo, poco distante dalla sua abitazione. Soltanto anni dopo il killer sarebbe stato identificato nel mafioso Leoluca Bagarella e gli altri boss dei corleonesi condannati come mandanti dell’omicidio.

Alessandro Giuliano, direttore della Direzione centrale anticrimine

Quarantonove anni, tre figli ancora bambini – Alessandro era il maggiore – Boris Giuliano, siciliano di Piazza Armerina, era vicequestore e capo della Mobile di Palermo. Tra i pochi investigatori italiani dell’epoca a conoscere l’inglese e l’unico ad aver conseguito una specializzazione presso l’FBI americana, dal momento del suo insediamento portò sul campo nuove metodologie d’indagine, a partire dalle analisi dei conti bancari per rintracciare i flussi di denaro riconducibili al traffico internazionale di droga gestito da Cosa Nostra.

Nel luglio del 1971, in collaborazione con i carabinieri dell’allora colonnello Dalla Chiesa, Giuliano portò a termine una delle più vaste operazioni antimafia di quegli anni, che si concluse con la denuncia per i reati di associazione per delinquere e traffico di stupefacenti nei confronti di 114 boss mafiosi, in gran parte individuati ed arrestati in diverse città italiane: oltre Palermo e Catania, anche Milano, Roma e Livorno, a dimostrazione del policentrismo assunto da Cosa nostra.

Nel giugno del 1979 scoprì due valigie con 500mila dollari in contanti all’aeroporto di Palermo tra i bagagli di un volo arrivato da New York. Successive indagini accertarono che si trattava del pagamento di una partita di droga da parte di Cosa Nostra statunitense alle famiglie siciliane: il carico corrispondente di stupefacenti venne infatti sequestrato poco tempo dopo all’aeroporto di New York. L’operazione portò all’arresto di diversi mafiosi, alla scoperta di covi con armi e droga, nonché di foto che ritraevano parecchi boss corleonesi, tra i quali lo stesso Leoluca Bagarella, incaricato da Cosa Nostra di porre fine all’attività di quell’investigatore troppo duro e competente da mettere a repentaglio i traffici del sodalizio criminale.

Polizia e Fbi in campo contro l’asse mafioso tra Palermo e New York

Nelle ultime settimane il figlio Alessandro con i suoi uomini si è ritrovato a indagare su un vecchio boss finito anche nelle carte del padre, che pochi mesi prima di morire stava cercando di delineare la rete di contatti tra la mafia siciliana e quella statunitense. Come se nulla fosse accaduto in tutti questi anni l’asse Palermo-New York è ancora solido e il figlio di Boris Giuliano ha contribuito a portarlo di nuovo alla luce. Francesco Frank Rappa, 81 anni, con alle spalle una lunga storia legata a Cosa nostra, è uno dei pochi sopravvissuti a quella stagione. Nel 1971 fu arrestato a New York per il ritrovamento di 82 chili di eroina nascosti dentro una Cadillac imbarcata a Genova, e successivamente negli anni Novanta e nel 2004 è finito in manette in Italia con l’accusa di associazione mafiosa perché ritenuto reggente della famiglia di Borgetto, nel Palermitano.

Ora è finito nuovamente sotto la lente della magistratura per le sue chiacchierate con i clan newyorkesi, i cosiddetti “scappati”, ossia le famiglie sopravvissute alla guerra di mafia con Totò Riina e costrette a rifugiarsi Oltreoceano. E’ lui il vecchio Padrino che ancora dispensa consigli ai “cugini americani” sul modo migliore di raccogliere il pizzo: meno violenza e pretese meno esose. Chiacchiere che l’hanno bruciato.

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